Il tramonto della libertà

Lateogoniaillustrata







Come ogni sera ripeto la liturgia dei gesti: rimuovo il trucco sfatto, depositato sui ricami del tempo, stucco che evidenzia, più che coprire, le crepe. Lo specchio è un metronomo: scandisce un prima e un dopo tra sogni e rinunce. Non ho timore di ciò che sono, non ho rimpianto di ciò che poteva essere e non è stato. Temo l'abbandono e non per paura di invecchiare in solitudine ma per quello che questo mio stato, oltre la porta di queste mura protette, comporta. Ho ancora zigomi alti, occhi grandi che sanno essere specchi d'acqua dai colori cangianti alla luce del giorno e della stagione, il collo lungo e sottile, dita lunghe e affusolate. Conservo quindi ciò che sempre mi dona un'aura di regalità. La libertà non perde fascino. C'è stato un tempo - e ancora c'è da qualche parte- in cui per me ci si batteva. Alcuni hanno lasciato la casa, attraversato deserti, hanno scritto opere capaci di sfondare muri e attraversare oceani per inseguirmi. Hanno guardato la morte in faccia, l'hanno abbracciata, hanno oltrepassato orrore e torture cercandomi. A volte conquistarmi ha significato rialzare le spalle piegate, riaccendere il sorriso rivendicando il diritto a un futuro pur senza dimenticare. Altre volte mi hanno riacciuffata troppo tardi, quando ormai, stremati dalla ricerca, si erano spenti dentro, si sono lasciati trasportare da una corrente che non erano più in grado di cavalcare. Ci sono uomini che sono diventati vecchi tra le mura di una prigione attendendomi, non hanno mai smesso di cantare il loro amore per me, le senti forti quelle voci, hanno attraversato i secoli e la vacuità dell'ingiustizia, sanno parlare alle menti rette oltre il tempo e lo spazio. Chi non mi ha mai compresa è sordo a quelle voci e a qualsiasi moto dell'anima. C'è chi nel mio nome ha imbracciato fucili; chi si è tagliato le trecce o chi si è tolto un velo imposto; chi si è lasciato morire di fame e di sete perché il pane, da solo, non può tenere in vita un oppresso; chi si è lanciato su un filo spinato attraversato dalla corrente rivendicando nella morte un ultimo gesto libero. Chi si è spogliato e sdraiato per strada; chi si è vestito degli unici abiti in cui si riconosceva anche se questo comportava l'isolamento sociale. Devo essere tuttavia un'amante imperfetta, una sposa rejetta, non sono in grado di legare a me nessuno in un legame indissolubile. Tutto il loro affannarsi a ricercarmi si annichilisce nel momento in cui mi raggiungono. Nessuno impara la lezione. Sono narratori stanchi quelli che mi hanno acchiappata. Immemori degli sforzi. Non sanno che posso essere solo la sposa di tutti oppure di nessuno. Non sanno testimoniare la fatica dell'impresa, il dolore dell'assenza. Non gioiscono della libertà altrui, rivendicano un senso di possesso esclusivo che non si attaglia alla mia essenza. Innalzano barriere, muri ostacoli. Separano il Noi dal Voi. Non stimolano la sete di conoscenza che semina altri germogli di libertà. Non innaffiano la mia pianta. Ottundono le menti, le forgiano nell'ignoranza, sopiscono la curiosità. Io io così invecchio tristemente sola. Fuori dalla mia finestra la notte è rossa e verde ma non profuma, non vi è incanto, un intrico di sospiri grevi e minacciosi ne è la colonna sonora. Sono stanca, lecco le mie dita salate di lacrime, appoggio il vasetto di crema sulla mensola del bagno. Attendo una nuova alba e altri amanti.

Commenti

  1. Cosa dire… di un’attualità assoluta e bruciante.

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    1. Purtroppo; grazie per aver dedicato il tuo tempo alla lettura

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  2. Un malinconico omaggio che ci lascia attoniti di fronte alla scelleratezza del mondo.. continuiamo a non comprendere gli immensi regali di cui disponiamo ed il non farne dono a chi ha meno di noi, si risolve in dolore moltiplicato..

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