Da dove arriva la luce
Marco Ieie |
Appoggia il suo ultimo bozzetto sulle assi che per anni hanno accolto gli strumenti da lavoro che non trovavano posto sulla rastrelliera ancora appesa di fronte a lei. Immagina file ordinate di chiavi inglesi e cacciaviti, punta a stella e punta a taglio, rigorosamente in ordine decrescente. La luce entra obliqua dalle grandi vetrate, dorata con sfumature rosate. Ogni rettangolo di vetro è incorniciato da un mastice ormai secco che tende a sgretolarsi al suo tentativo di aprire per fare entrare aria nuova nella stanza che odora di chiuso. Tre piccioni, momentaneamente incuriositi dai movimenti nella stanza solitamente silenziosa, tubano senza sosta, poi improvvisamente si zittiscono. Ogni riquadro di vetro è incorniciato da uno spesso strato di polvere vecchia, incapace tuttavia di smorzare lo splendore di quella pioggia dorata. È la seconda volta che torna si è fatta prestare la chiave, doveva venirci da sola a riflettere e ormai è convinta.
Marta ha trentatré anni, "gli anni di Cristo" dice suo padre, ma per Marta non è rilevante. Ciò che invece l'ha scossa profondamente un paio di anni prima, è stata l'improvvisa consapevolezza che sua madre, a quella stessa età, aveva già lei ed era incinta di Giacomo. Non si era trattato di sentire risuonare il proprio orologio biologico, Marta non desidera essere madre, o non almeno al momento, visto che ritiene si debba essere almeno in due per certi progetti e lei, in amore, naviga ancora a vista, ma quel giorno le si era improvvisamente palesato il fatto che alla sua età la generazione precedente poteva essere considerata non solo adulta ma in grado di assumersi la responsabilità di altre vite. Di fatto Marta avrebbe voluto accomodarsi in quel genere di esistenza plasmarla a sua immagine e somiglianza, assumersene gli oneri in modo da poter gestire i suoi progetti e le sue necessità secondo piani da lei prestabiliti. Due anni prima il giorno di questa "epifania" generazionale, era stato importante per lei: aveva infatti appena firmato il suo primo contratto con una casa editrice straniera per illustrare un libro per l'infanzia. Aveva letto il testo che le era stato inviato e lo aveva trovato incredibilmente stimolante. Aveva allestito uno storyboard, aveva inviato un paio di tavole finite e la casa editrice aveva approvato. Ricorda un senso di compiutezza al momento della firma, un piccolo brindisi tra amici pur mantenendo il riserbo richiestole e la sensazione, il giorno successivo, di non essere all'altezza delle aspettative, classico caso di sindrome dell'impostore che riaffiora ogni tanto ancora a distanza di due anni. Prima di allora alcuni suoi lavori erano stati scelti da riviste online del settore. Aveva illustrato qualche copertina per libri di piccole e medie case editrici, era stata selezionata per mostre collettive con altri colleghi della sua generazione, insomma le sue tavole iniziavano a girare ma era stato il contratto per illustrare quel libro all'estero che le aveva fatto capire che forse di quella sua passione per colori e forme che l'accompagnava da sempre e sulla base della quale aveva indirizzato il suo percorso di studi, poteva viverci, era finalmente il suo lavoro. In effetti non si era sbagliata più di tanto: l'aprirsi del mercato internazionale aveva significato trovare maggiori possibilità di lavoro anche in Italia. Aveva visto crescere l'interesse per la sua arte non solo sui social. Era iniziata la collaborazione con un'agenzia importante nel campo dell'illustrazione che le aveva trovato diversi contratti. Marta aveva cominciato a risparmiare con il pensiero fisso di cercare un luogo che fosse un po' studio e un po' casa. Aveva quindi iniziato a girare per agenzie e a dare la caccia agli annunci ma le rare volte che si imbatteva in una possibilità concreta o il prezzo non era abbordabile neanche con un mutuo trentennale o le banche non la ritenevano in grado, dato il tipo di lavoro, di accollarselo nonostante i suoi genitori fossero disposti ad aiutarla. Ogni volta che andava a vedere un appartamento suo padre o suo madre la accompagnavano, per offrire all'immobiliarista un senso di maggiore garanzia riguardo alla sua solvibilità e pensava che se si fosse presentata con un marito sicuramente non sarebbe stato così arduo. La cosa, che da un lato la faceva sentire terribilmente inadeguata, dall'altro le faceva montare una rabbia sorda soprattutto quando pensava che il suo ultimo compagno guadagnava nettamente meno di lei. E comunque non avevano al momento nessuna intenzione di andare a convivere anche avesse trovato la casa adeguata, la loro storia era troppo recente. Aveva quindi smesso da un po' di cercare e aveva iniziato a frequentare uno spazio condiviso con altri ex compagni di corso dell'Accademia. Una vecchio casale nella seconda periferia della città, i campi erano stati divorati dalla cementificazione selvaggia della prima metà degli anni 80. La luce proveniva dalle grandi arcate della barchessa che erano state chiuse da orribili serramenti in alluminio anodizzato e loro quattro si contendevano gli spazi più prossimi alle arcate, avevano stabilito una sorta di rotazione in modo da non scontentare nessuno. Le restava comunque in bocca l'amaro di quel sogno inaccessibile. Ed ora eccola qui, quando ormai non ci sperava più, il nonno di Roberta, sua amica d'infanzia, era morto che erano ormai tre mesi, la nonna demente era stata trasferita in una RSA, La casa e l'officina dovevano essere vendute per pagarne la retta. Era entrata con Roberta nell'officina per un sopralluogo e le era stato subito chiaro che quel posto aveva un potenziale magnifico per lei. Sa la la stima che è stata fatta per la vendita. La zona non è più attraente per il mercato immobiliare, ci sarebbero molti lavori da fare, ma si possono realizzare sia studio che appartamento e poiché per un periodo uno zio di Roberta si era trasferito lì, ricavandone una stanza con bagno, l'officina ha già il doppio uso. Marta si volta verso la vetrata da dove in quel momento la luce va spegnendosi, arrotola il bozzetto, poggia una mano sulle assi del bancale rese lisce da anni di utilizzo, come una carezza, un gesto d'intesa. Rivolge un sorriso a lì, da dove arriva la luce, ed esce.
molto piaciuto.
RispondiEliminahai un bel narrare equilibrato, una prosa fluida e una cura per le parole che tracciano una storia come un sentiero in cui è gradevole addentrarsi.
massimolegnani
(orearovescio.wp)
Che dire, è un piacere essere letti così. Grazie
EliminaFinisco sempre in spam..come è possibile, io, affezionato lettore!!
RispondiEliminaSubdorando la malafatta, ho copiato e ripubblico: Questa capacità di far sorgere storie da un finestra che irradia luce, storie che si accavallano e arredano, creano passato, incastrano sogni.. tutto perfetto.. un geniale scrivere. Sarebbe anche interessante sapere da quali sogni parte Marco...
Provo a girargli la domanda
EliminaGrazie Franco come sempre
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