Sulla strada di casa



Marco Ieie 






Il primo giorno di scuola la maestra Claudia ci ha chiesto il nome a uno a uno e quando è arrivata a Nur le ha domandato cosa significhi. Nur ha sorriso e le si sono formate due buchette sulle guance, erano proprio carine quelle buchette, lei ha risposto: «Luce!» e io ho pensato che la sua mamma e il suo papà l'avevano capito subito che se anche tutti i suoi riccioli erano scuri, scuri quasi neri e anche la sua pelle era scura, ma solo un pochino, Nur era proprio luce: le brillavano gli occhi e anche la voce quando parlava. Allora io ho pensato che speravo che la maestra Claudia non mi chiedesse cosa significa Ilaria perché sono sicura che la mia mamma e il mio papà non mi abbiano guardata altrettanto bene, quando sono nata, o che si aspettassero un'altra bambina, perché a me ridere fa proprio fatica, a volte anche parlare. Io di domande in testa ne ho mille a volte le faccio tutte insieme, a volte le parole proprio non vengono. Però la maestra Claudia non mi ha chiesto nulla anche se ho capito che mi sta studiando da quel primo giorno. Vorrei dirle che mi è simpatica e che mi dispiace se fatica a capirmi perché io con lei sto proprio bene; non è mai insistente come la nonna che continua a chiedermi di tutto come se mi mettesse sempre alla prova ma non ha neanche rinunciato a capire come a volte fanno mamma e papà. Quando parla Nur non mi annoio mai ad ascoltarla anche se parla e parla, così fin da quel primo giorno nell'intervallo per la merenda e dopo la mensa stiamo insieme in giardino. Lei parla, io ascolto, oddio non proprio tutto, a volte mi arrivano i "pensieri ballerini", così li chiamo io e a seguire i loro passi di danza mi ritrovo sempre altrove "in un mondo tutto mio" dice mamma. Nur invece non si arrabbia mai e girando con i suoi discorsi trova sempre il modo di riacchiapparmi. Così dopo qualche giorno la maestra Claudia ci ha messe in banco insieme perché dice che sono l'unica in grado di far tacere Nur e lei è l'unica in grado di far parlare me. È una "sagoma" la maestra Claudia dice le cose sempre come stanno ma in un modo che non punge. Quando c'è Nur non sento il peso dei miei silenzi e riesco anche a ridere. Allora forse la mamma e il papà sapevano in anticipo che sarebbe arrivata Nur quando hanno deciso come chiamarmi. La mattina vado a scuola da sola, devo solo percorrere il giardinetto che separa il condominio in cui abito dal muro di cinta della scuola, nessuna strada pericolosa da attraversare. Una mattina che era ancora settembre e la scuola era iniziata da poco, camminavo lungo il vialetto centrale del giardino, strisciavo i piedi sul ghiaino, mi piace sentire il rumore del ghiaino che scrocchia e stride sotto le scarpe, indossavo quelle di pezza rosse, le mie preferite. Nonna dice che sarebbe ora di buttarle, la mamma però sa che per me sarebbe un dispiacere, mi affeziono sempre molto alle cose, cambiare è un dolore, così aspetta che il piede cresca ancora un poco, già i ditoni hanno iniziato a premere sulle punte. «Non si dice ditoni, si dice alluci» dice papà; piangerò un po' quando dovrò salutarle. Insomma quella mattina ero quasi arrivata al grande albero centrale dove si congiungono tutti i vialetti che separano le aiuole, quando sento delle vocine piccole e sottili che chiamano «Ilaria, Ilaria», io mi guardo intorno e non c'è nessuno e poi tanto chi dovrebbe chiamarmi? A parte Nur non ho fatto amicizia con nessuno. Poi abbasso gli occhi ed è allora che li vedo: sono esserini minuscoli, come dei fantasmi e all'inizio penso che siano usciti da uno dei miei "pensieri ballerini" e mi spavento moltissimo, arrivano da più parti, sembrano venirmi in contro. Dopo avermi chiamata non dicono più nulla. Mi blocco, ho un po' di paura; "Cosa vorranno? Saranno malvagi?" Riprendo a camminare e loro mi seguono, sembrano confabulare tra loro, sento le loro vocine ma parlano una lingua sconosciuta. Ogni tanto qua e là nei loro discorsi percepisco ancora il mio nome "Cosa staranno dicendo?" Non sembrano però avere cattive intenzioni e in fondo sono così piccoli che se solo li calpestassi per loro sarebbe la fine. Mi lasciano al muro di cinta della scuola, fanno un inchino di rispettoso saluto e tornano verso il giardino. Al cancello trovo Nur, oggi avrei anch'io da raccontare qualcosa ma rispetto i ruoli: lei racconta, io ascolto. Durante tutta la mattinata penso spesso ai piccoli fantasmi così un paio di volte perfino la maestra Claudia finisce per domandarmi dove io sia. All'uscita di scuola saluto Nur, la sua mamma è venuta come sempre a prenderla. Faccio finta di avviarmi verso casa ma poi aspetto ai margini del parchetto che tutti se ne siano andati via prima di inoltrarmi nel giardino, temo che i miei fantasmini non si facciano vedere se c'è troppa gente. Quando il chiasso dell'uscita si è placato, torno lungo il vialetto verso l'albero centrale del giardino e finalmente sento nuovamente le vocine sottili: «Ilaria, Ilaria», mi inchino ancora una volta in segno di saluto così come sembrano fare loro e riprendiamo insieme la strada verso casa. Perfino i "pensieri ballerini" non mi sfiorano in loro presenza e durante il breve tragitto, che da quel giorno è diventato un appuntamento fisso, mi sento bene, sono al posto giusto: una bambina di sei anni che torna da scuola sorridendo in compagnia di amici.





Commenti

  1. Fosse un fantasmino anche Nur, oppure Ilaria stessa, e anche la maestra, perché no? Solo fantasmini a sussurrare Ilaria ad ogni bimba che passa..

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  2. Mi piace questo racconto pieno di benevolenza

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