Ponente Scoccasale


Marco Leoni





Ponente Scoccasale era nato con un'attitudine al viaggio, dovuta forse alla sua rocambolesca comparsa su questa terra avvenuta a bordo di un piroscafo mentre Vivienne Scoccasale nata Dubois cercava di raggiungere, all'ottavo mese di gravidanza, il marito Norbert che da qualche tempo era stato trasferito da Nizza a Brest a dirigerne l'ufficio postale. Quando la notizia del trasferimento era giunta Vivienne era incinta ormai di cinque mesi. Era partita con sua madre che dopo averle organizzato meticolosamente il trasloco, tanto meticolosamente che ci erano voluti mesi, doveva aiutarla nei primi mesi dopo il parto e chissà perché l'aveva consigliata di viaggiare per mare ritenendo meno stressante per una gravida la nave del treno o di un'auto di quei tempi. Eventuali burrasche non erano state nemmeno prese in considerazione e men che meno il mal di mare di cui effettivamente Vivienne non aveva mai sofferto. Fatto sta che quando mancavano due giorni allo sbarco le acque del mare si erano agitate e quelle di Vivienne si erano rotte e all'arrivo al porto erano stati accolti in tre, invece in due, da un Norbert ancora ignaro di essersi trasformato in padre. Scoccasale, cognome di chiara origine italiana, prese ben presto l'accento sull'ultima sillaba lassù al nord della Francia. L'inclinazione al viaggio di Ponente si era manifestata molto precocemente: all'età di tre anni, eludendo la sorveglianza della madre, che tutto era fuorché ferrea, il bambino aveva scavalcato la bassa staccionata dell'orto e dopo un paio di ore era stato notato e recuperato da un impiegato dell'ufficio del padre lungo la strada che da casa Scoccasale dirigeva verso il porto. Aveva con sé un tovagliolo dentro il quale aveva infilato una fetta di pane, dimostrando anche una certa avvedutezza nonostante la tenera età. A quattro anni iniziava a sillabare, a cinque nessun ostacolo più si frappose tra Ponente e Jules Verne: gli abissi, lo spazio, il mondo gli parvero mete ambite e a sua portata. Ponente non era il nome con cui era stato battezzato ma fu quello con cui venne conosciuto da tutti già in famiglia, non solo quando iniziò a girare il mondo, d'altra parte chi più di lui, nato all'estremo occidente del vecchio continente, poteva vantarlo?  All'iniziò si imbarcò a lavorare sulle navi pur di viaggiare, poi mercanteggiò spezie e oggetti di cui apprese il valore commerciale in ogni terra entrando in confidenza con i gusti e le passione dei facoltosi nei vari continenti. Leggeva in sette lingue diverse e questo quando di anni ne aveva compiuti ventinove, chissà quante ne avrebbe parlate una volta diventato centenario. Lavorò quindi come interprete per altri viaggiatori o mercanti che incontrava nei suoi interminabili itinerari. Pur viaggiando con un bagaglio personale essenziale, Ponente non rinunciava mai ad alcuni oggetti che riteneva indispensabili all'armonia della sua esistenza almeno quanto la grazia di sedere sulla riva di mare ad ascoltare la risacca, di passeggiare contando conchiglie, di stendersi su un prato in una notte d'estate a scrutare il firmamento nominando le stelle a una a una come altri avrebbero potuto fare con i membri del proprio albero genealogico attraverso le generazioni. Dunque lo accompagnavano sempre nel viaggio la sua collezione di teiere raccolte tra i viaggi in oriente e quelli fatti nella campagna inglese; riteneva infatti che non vi fosse problema o dispiacere che non si potessero affrontare dopo una buona tazza di tea. Il grammofono di nonno Dubois con i suoi vinili, la valigetta con gli acquarelli che servivano per gli scketch, suoi immancabili strumenti per gli appunti di viaggio di cui riempiva taccuini su taccuini. Qualche attrezzo da cucina, un paio di barattoli con pesce sotto sale, abitudine instauratasi dopo gli anni di lavoro sulle navi, e tre libri che abbandonava dopo averli barattati con altri di ricambio. Non era solito intavolare per primo discorso, era persona piuttosto schiva, ma se la conversazione veniva iniziata da altri e gli sembrava valerne la pena, sapendo di non sapere, lo mordeva una curiosità insaziabile per quello che un capace narratore era in grado di raccontargli e poteva fare nottata parlando degli argomenti più vari. Non c'era mezzo di trasporto che non avesse provato: dall'elefante alla mongolfiera, dalla piroga alla slitta trainata dai cani, dal monociclo ai treni gremiti fin sui tetti in India, fino ai cammelli nel deserto. Non mancò di destare scalpore la volta che fece il suo ingresso in una cittadina dei mari del sud sul dorso di un granchio gigante. Come sempre sembrava destreggiare con una certa nonchalance la tecnica necessaria a procedere a bordo del carapace di quell'enorme esemplare. In molti vedendolo arrivare si domandarono se avesse imparato a padroneggiare un'arte appresa da altri o se fossero sua invenzione i finimenti e le briglie fatti per cavalcare l'insolito crostaceo. Appeso alle chele anteriori dondolava a ritmo dell'incedere il fanale di un vecchio fiacre, segno evidente che era uso viaggiare anche col favore delle tenebre. Si fermò davanti a una bottega a pochi passi dalla costa che era ormai l'imbrunire e si rifornì di cibo e di quanto gli serviva, poi salutò, e diresse verso la riva, stese il tappeto che usava come sella, scaricò i bagagli: avrebbe concesso al granchio una giornata di libertà. Scelse con cura il bollitore adatto e si apprestò a preparare una tazza di tè. Diede un paio di giri alla manovella del grammofono, le note della Tosca riempirono l'aria: tra i solchi del disco così come in cielo lucevan le stelle.

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