Incipit: Una casa di acqua e cenere




Giacevano insieme, come appena separati dopo un lungo abbraccio. La mano destra dell'uomo sul seno di lei, la testa rovesciata all'indietro come in una risata, il cuscino buttato da una parte. La donna aveva la gamba destra piegata e mostrava il dorso del piede pallido e vulnerabile. Li guardavo dalla soglia, in silenzio. La tenda si muoveva alla luce tenue di quel pomeriggio d'autunno fragrante come una mela di stagiome.
Il letto era attraversato da strisce rosse che lungo il margine tendevano al marrone. La donna aveva le palpebre socchiuse, come in procinto di dire qualcosa all'uomo che le stava accanto. era difficile notare il taglio sul collo bruno, dissimulato da una collana di grani grossi, vividi come semi di melagrana. La mano aperta, proprio accanto, era coperta da una patina di sangue rappreso. Sulle lenzuola aggrovigliate una traccia umida. c'era meno sangue intorno all'uomo, nonostante il coltello conficcato nel petto. Una sottile linea rossa correva dalla tempia sinistra al lato destro della mandibola, come se qualcuno avesse voluto cancellargli il volto con un tratto di matita, prima di affondare la lama.




Kalyan Ray. Una casa di acqua e cenere. Nord Editrice. Traduzione Francesca Toticchi


Io non lo so perché in italiano gli è stato dato questo titolo, son misteri inesplicabili, a volte, le scelte degli editori; il titolo originale, No Country , indubbiamente rendeva meglio l'intento dell'autore, il significato del libro, perché anche se l'incipit lo fa apparire un libro giallo, No Country non lo è assolutamente. E' una lunga saga che ha un antefatto ed una chiusa nel 1989 negli Stati Uniti ma parte da lontano, nell'Irlanda della metà dell'800 e si snoda per tre Continenti ed un secolo e mezzo, è una saga familiare (con tanto di albero genaelogico finale) e non lo è, perché in realtà, ogni volta che una famiglia prova a formarsi sia essa tradizionale o non convenzionale il vento della miseria, della guerra, delle carestie, della malattia, la sbriciola. Eppure restano radici nella terra, radici nell'anima, paesaggi ("i panorami ci servono adesso l'ho capito. I grandi maestri del passato conoscevano le ragioni del cuore e ciò che può sopportare") negli occhi e nel cuore che oltrepassano le generazioni con la forza della narrazione che solo l'affetto struggente per i luoghi e le persone portano con sé. Lo stile di Kalyan Ray è ricco di citazioni poetiche, è un narrare colto e frutto di più culture, come lo sono i suoi personaggi, sa dipingere con le parole "mi risvegliai sul far del giorno, quando la luce è grigia come l'ala di un gufo" o ancora "se la pioggia portava odore di terra, allora la neve, decisi, portava odore di cielo" . I suoi personaggi si struggono per una Patria lontana alla quale tuttavia sono certi di non appartenere completamente, pur non sentendosi parte delle terre che abitano, in cui lavorano ed in cui decidono di mettere al mondo i loro figli. Se anche l'dea di far quadrare il cerchio alla fine pare un po' forzata, la lettura è trascinante ed il mesaggio non potrebbe essere più attuale "Siamo tutti imparentati: la nostra nazione comune è la mortalità", basterebbe ricordarsi quanto piccoli sono lo spazio ed il tempo che ci sono concessi per vivere con maggiore armonia e trarne tutti immenso beneficio

Commenti

  1. Uhm, spesso il titolo si cambia perché si pensa che non funzioni in italiano. A me in effetti "Nessun paese" non sembra granché.

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