La chiara notte

 

Quint Buchholz 






Era la notte del 23 Giugno, nella piccola casa di legno a nord del pianeta Terra, la luce del giorno senza notte non era bastata: dall'esterno, al piano superiore della casa, si intuiva la smania di un insonne, la luce di un abat jour faceva a gara con quella di un crepuscolo che era ormai quasi alba. Come ogni anno i fiori erano stati raccolti, l'acqua versata nel bacile, le erbe aromatiche accuratamente selezionate e infine l'acqua di San Giovanni era stata posta all'esterno, oltre il portico a imbibirsi di rugiada. Il rito propiziatorio di saluto all'estate si era consumato ancora una volta. Quell'anno la luna era piena, il trionfo della luce dopo il profondo buio dei mesi invernali. L'uomo aveva abbandonato più volte il libro affianco a sé sul letto sperando di scivolare nel sonno. Aveva sentito lo zampettare del corvo che abitava sul suo tetto: anche lui evidentemente non trovava pace confuso dal persistere del chiarore. Ogni volta, l'insonne, era caduto invischiato in un sogno che presto si era spezzato, soccombendo a un sonno troppo lieve; la veglia appiccicosa gli riapriva le palpebre a ogni frusciare di foglia, a ogni suono minimo. Viveva in quel tipo di casa sempre desta, scricchiolii, schiocchi di legno che risponde all'umidità, alla temperatura e se ne lamenta come un anziano dello scorrere del tempo. La casa poi si ergeva in una radura del bosco che non conosceva silenzi assoluti. Ora, desto, ricordava la presenza di un orso polare, l'orso aveva fiutato la preda in lontananza e pazientemente stava braccando un'otaria, quando un nuovo rumore minimo, lontano, uno di quei rumori che solitamente la sua mente incasellava come privi di significato, senza destare allarme, lo aveva strappato all'osservazione dell'orso e la preda di quello era scivolata via sinuosa nell'acqua gelida dell'Artide. Da qualche parte, ancora più a nord, un orso polare avrebbe patito la fame e un'otaria, ignara della sua fortuna, avrebbe celebrato un altro tramonto. L'uomo riprese il libro ma non riuscì a farsi trasportare dalla storia che narrava; inanellava pensieri come un fumatore annoiato fa con il fumo, poi li guardava dissolversi uno dietro l'altro concentrando immediatamente l'attenzione sul successivo senza soluzione di continuità. Poi, pensando agli oneri della giornata imminente concesse al sonno ancora una chance. Dopo poco in un'alba africana, calda ma non ancora torrida, si consumò la lotta, per ingraziarsi una femmina ,di due rinoceronti. Con supponenza tipica dei giovani, lo sfidante attaccò e riportò in poco tempo due profonde ferite sul fianco. Un nuovo scricchiolio della casa ristabilì la vecchia egemonia. L'uomo aprì gli occhi: ancora per quest'anno il vecchio esemplare di pachiderma avrebbe goduto dei favori della femmina che aveva assistito alla battaglia, il risveglio non consentì rivincite. A questo punto l'uomo cedette all'evidenza: il sonno non sarebbe più arrivato. Posò il libro sul comodino, si alzò, raggiunse il bagno, poi decise di scendere. Aprì la porta a quella luce irreale e scese a osservare erbe e fiori galleggiare nell'acqua. Si stropicciò gli occhi: sul prato umido di rugiada un rinoceronte e un orso bianco giacevano profondamente addormentati. Salì nuovamente in camera da letto prese un plaid e un cuscino e tornò da basso sul prato. Si coricò sul rinoceronte e finalmente il sonno lo accolse

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