Gelsomino
Quando era nato, tanti, tanti anni fa, così tanti che nessuno più in paese sapeva tenerne il conto, sua madre gli aveva dato il nome dei fiori che più amava e che proprio nei giorni del parto inondavano l'aria del loro profumo così intensamente che prima che il padre potesse opporvisi, quel bambino gracile divenne per tutti Gelsomino. Gelsomino in vero è un nome adatto ad un bambino, così quando passarono gli anni e Gelsomino
rimase un soldo di cacio, suo padre insistette che la colpa era di quella scellerata che gli aveva attribuito un nome inidoneo a fare di lui un colosso. Gelsomino non era capace di sobbarcarsi il duro lavoro dei campi e quindi era stato, da tutti in paese, adottato per piccole commissioni: andava al mercato o stendeva il bucato per gli anziani o si recava alla fonte per riempire le brocche delle donne che, in procinto di sgravarsi, non erano più in grado di farlo. Ma il motivo reale per cui l'intero paese lo aveva adottato era la sua
immensa fantasia: ogni volta che si recava in una casa per una commissione raccontava una storia, così bella e ricca di dettagli da risultare più vera del vero pur essendo chiaramente frutto di una vivido immaginario. E quando gli chiedevano da dove li prendesse quei racconti, lui sosteneva che li cercava di notte tra le case e che loro amavano farsi trovare da lui. Fin da piccolo infatti era stato sonnambulo e capitava, le prime volte, quando aveva tre anni, e le piccole e scarne gambette erano state in grado di fare strada, che venisse trovato dalla madre all'alba addormentato, fuori dal paese, sotto le felci ai piedi delle robuste querce, o peggio, dentro la tana di una volpe. Così la donna spaventata, per paura che gli potesse succedere qualcosa, gli aveva cucito un cappello di panno a punta, alla cui sommità aveva appeso un campanellino e quando lo metteva a letto glielo legava sotto il mento, in tal modo quando di notte Gelsomino, sonnambulo, si alzava lei poteva sentirlo e seguirlo per riportalo a casa senza destarlo poiché le avevano detto che fosse pericoloso svegliare i sonnambuli. Il giorno seguente il vagare notturno, Gelsomino aveva nuove storie da raccontare e poiché, allertati dal suono del campanellino nella notte, i compaesani lo sapevano, nei giorni seguenti la lista dei richiedenti una commissione si allungava e tutti erano pronti a donare delle patate, una scodella di zuppa, un tozzo di pane o qualche uovo di giornata pur di farsela raccontare. Alla fine l'esile Gelsomino era stato in grado di mantenersi, senza lavorare nei campi per tutta la sua lunga esistenza. Fattosi adulto il sonnambulismo era cessato ma Gelsomino indossava ancora il cappello di panno a punta prima di andare a dormire e usciva di casa, lanterna alla mano, in cerca di storie nel cuore della notte. E ora che gli anni gli avevano fatto smarrire la memoria, alcuni in paese giuravano di vederlo girare nudo e curvo ma con il cappello e la lanterna, vagando nella notte cercando storie che però al mattino non ricordava e ogni tanto, seguendo il suono del campanellino qualcuno lo ripescava, lì dove si era perso, e con il pretesto di farsi raccontare una storia lo riconduceva a casa.
bellissimo, abbiamo bisogno di personaggi come Gelsomino e anche di quelli che vogliono ascoltare storie
RispondiEliminaGrazie Ernest a me sembra che l'ascolto sia in disuso
EliminaInfatti, alla fine, l'ascolto diventa "pretesto" e non più piacere.
RispondiEliminaGià
EliminaOh si', questa storia diventera' un'altra storia della buonanotte! Grazie!!
RispondiEliminaA voi!
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