Kintsukoroi
Andrea Oberosler
Aveva sempre pensato di se stesso che, pur essendo un essere complesso e dal carattere sfaccettato - parti che come diamanti brillavano rimettendo una luce amplificata e lati oscuri difficili da definire perfino a lui stesso -, fosse venuto al mondo per essere felice. Ora si potrebbe contestare che normalmente chiunque ambisca alla felicità, ma si tratterebbe probabilmente di una verità confutabile dal momento che ci sono persone che sembrano nate per complicarsi l'esistenza e, nonostante la felicità sia un attimo e non una condizione durevole, molti sono coloro che si applicano quotidianamente per rendere impossibile l'attitudine a quel puntiforme stato di grazia. La felicità necessita di essere condivisa al contrario del dolore di fronte al quale ogni essere è solo. Quindi, per quanto la cosa gli fosse sembrata a lungo impossibile, impensabile, impraticabile e giungendo perfino a odiarsi immaginando di farlo, l'uomo salutò l'amore, tolse l'ormeggio che lo legava a lui e lasciò che la sua barca andasse alla deriva perchè da quel porto non si poteva salpare per la felicità. Eppure non rinnegava nessuno dei mesi, dei giorni e dei minuti che quell'amore gli aveva riservato e questo rendeva il momento di levare l'ancora, se possibile, più doloroso. Quando fu alla deriva concesse ai suoi occhi il lusso del pianto che dilava, ma da quello, al momento, non trasse consolozione alcuna. L'assenza era una condanna senza appello e quella nuova consapevolezza lo fece andare in pezzi, ma aveva messo un tratto di mare sufficientemente ampio tra sé e il porto da rendersi conto che non vi avrebbe fatto ritorno. Navigò nella nebbia per giorni straziato nelle carni. Poi capì che se era stato quel desiderio inalienabile di felicità a farlo uscire dal porto, doveva concedersi il lusso di una qualsivoglia forma di assoluzione. Prese il timone della barca tra le mani facendo rotta per nuove terre. Fuse dell'oro e con quello unì i suoi pezzi. Ciò che ottenne era altro da sé, per come si era riconosciuto fino ad allora, eppure non era mai stato così integro e si regalò un sorriso. Kintsukoroi è il modo in cui i giapponesi definiscono l'arte di riparare le ferite dell'anima. Fosse stato anche solo un principiante, si disse, era quella la strada che voleva intraprendere.
Non c'è mai assenza definitiva. Ma nuova presenza. Non esiste il vuoto, ma incapacità di riempirlo.
RispondiEliminanon esiste ferita che non rimargini, e che non rimanga comunque evidenziata (con l'oro o con la memoria o con distillato di cuore).
Regalare un sorriso è segno di grande equilibrio, buon senso, anima nobile.
Regalarselo, è uno splendido vivere.
Grazie Franco
Eliminafacendo rotta per nuove terre la vita, se è veramente vissuta, è una continua avventura.
RispondiEliminaProprio così
Eliminaai suoi occhi il lusso del pianto che dilava dilava?
EliminaScorre sul volto, quasi lo erode, senza consolare, questo intendevo
EliminaKintsukoroi, non conoscevo (ometto l'articolo che non so se femminile o maschile) a me però le mie ferite non dispiacciono, qualcuna s'è cicatrizzata, qualcun'altra è in via di guarigione, poche fresche che disinfetto ogni tanto con un batuffolo imbevuto di indulgenza.
RispondiEliminaQuesto è bello, lo pubblichiamo.
Ma alla fine è così come dici bene tu
Elimina... le cicatrici che segnano, ma arricchiscono pure
RispondiEliminaLa felicità è amare quello che si ha. L'uomo, evidentemente, aveva perso qualcosa, ma non il desiderio della felicità e l'importante era partire alla ricerca di nuove sensazioni gioiose.
RispondiEliminaPenso sia così, benvenuto Gus O.
EliminaRacconto che fa riflettere.
RispondiEliminail passaggio più impegnativo di questo viaggio è il riuscire ad assolversi, non la metaforica pacca sulla propria spalla ma un esame approfondito di sè stessi, severo e per nulla consolatorio. Forse questo passaggio è la premessa necessaria alla realizzazione del Kintsukoroi.
massimolegnani