Un guaio

 


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Potrei essere qui a raccontarvi l'ennesima triste storia di un essere vituperato e sfruttato come fenomeno da baraccone per la sua unicità e credetemi i presupposti ci sarebbero tutti: un neonato con volto quasi umano, se non fosse per un labbro superiore da roditore, un corpo di dimensioni umane coperto da irti peli, una lunga coda da ratto . Oppure potrei narrarvi la storia di un riscatto sociale: il povero essere difforme che trova nello studio e nell'arte la chiave della rivalsa dopo una vita grama. Ma, come spesso succede la realtà supera la fantasia. La vita di John Eduard Harrison, che sto per narrare non ha nulla di agiografico. Al momento in cui si svolsero questi fatti Harrison calpestava le strade di Londra da ormai diciannove anni, lo faceva per lo più di notte e in modo furtivo. Se dovessi dire che la sua fu un'infanzia felice di sicuro mentirei: provate voi a dedicare un unico giorno della vostra esistenza a girare con una folta e ispida pelliccia e una lunga coda da ratto, non vi sarebbe motivo alcuno di stare allegri conoscendo la razza umana, rivorreste indietro immediatamente quel singolo giorno prestato allo scopo di indossare quegli scomodi panni e probabilmente con gli interessi. Ma quell'essere era nato proprio così non si era destato un giorno, alla guisa di un Gregor Samsa, mutato in orride forme. Lasciate che vi spieghi che genere di donna  avesse partorito questo John Eduard Harrison, chi ebbe modo di conoscerla giura che fosse sinuosa come una dea orientale e che sapesse usare la sua intelligenza come il migliore degli scienziati e il più scaltro degli uomini d'affari. Più di qualcuno, roso dall'invidia, sostenne che quel figlio fosse il conto che la donna dovette pagare per aver ricevuto tanti beni in dote nel momento in cui si era affacciata a questo mondo. Altri dissero che si sarebbe accoppiata anche con un ratto se questo le avesse garantito un possibile tornaconto. Naturalmente di una storia bisogna sempre conoscere le due campane per approcciarla con la giusta distanza e quindi posso senza ombra di dubbio asserire che quella giovane donna versò fiumi di lacrime per quella sua creatura disgraziata ma le pianse in silenzio, lontana da sguardi indiscreti e mai al cospetto del suo bambino che educò fin dal primo giorno all'autostima. Se c'era una cosa in cui John Eduard Harrison somigliava alla madre era nell'uso adeguato di tutta la materia cerebrale che gli era stata data in eredità. Non mento se dico che quanto gli mancava in bellezza gli era stato concesso in intelligenza: comprese che doveva cavalcare la sua diversità per non caderne vittima. Quando quindi, superata l'infanzia, una sera cenando con sua madre disse di non poter più immaginare per sé una vita rinchiuso tra quelle quattro mura alla sola presenza di lei e dei libri, la donna represse preoccupazione e lacrime ancora una volta intuendo che tutta quella solitudine lo stava uccidendo. Gli chiese quindi se avesse un piano e John Eduard le rispose che era pronto. Le spiegò che la settimana precedente aveva visto sulle pagine del giornale l'annuncio che nel loro quartiere avrebbe fatto tappa un piccolo circo, uno di quelli miseri con due clown, una trapezista  e un triste spettacolo di cani ammaestrati vestiti in modo ridicolo. Aveva indirizzato quindi una missiva a Mr. Smith, il proprietario, che non navigava in buone acque, in cui si era dichiarato manager di Mr. Tarpone una straordinaria attrazione. I due si erano incontrati. John Eduard aveva imparato da sua madre le strategie per nascondere la lunga coda, si vestì in modo elegante, indossò una mantella e copri il labbro con una sciarpa di seta. Una volta discussa la percentuale il circense chiese di vedere l'attrazione e lui si spogliò. Smith rimase sbalordito che quell'essere che parlava un inglese perfetto e discuteva di affari con grande capacità fosse la stessa creatura mostruosa che gli era stata proposta a contratto, cercò quindi di ridefinirlo a proprio vantaggio ma prontamente Harrison gli ricordò che non si trovava nella posizione di poterlo fare poiché sapeva da fonte certa che si trovava sull'orlo del fallimento. Dalla sera successiva John Eduard si fece chiudere in una gabbia e al mondo venne presentato come Mr. Tarpone, l'erudito Uomotopo, rispondeva in tre lingue a domande filosofiche, matematiche, geografiche e storiche poste dal pubblico. Il successo fu clamoroso, il circo Smith poté permettersi un nuovo tendone, le turné divennero internazionali. John Eduard come Mr. Tarpone realizzò il suo sogno di girare il mondo. Poi il successo diede alla testa a Smith che decise di intrappolarlo per non dovere più dividere gli incassi, Mr. Tarpone boicottò lo spettacolo chiudendosi nel mutismo, fu picchiato, resistette. Di giorno in giorno calava il numero degli spettatori, fu costretto alla fame poi riprese a esibirsi e Smith pensò di averlo in pugno e di lì a una settimana abbassò la guardia e John Eduard durante lo spettacolo gli sottrasse la chiave della gabbia e si ecclissò. Del circo Smith non rimane nemmeno la memoria del nome. John Eduard Harrison passò il primo periodo a girare il mondo, scovando delle creature anomale come lui, le sottrasse a chi le sfruttava, e non si trattava di di filantropia ma di senso degli affari, confezionò per loro dei numeri su misura e ne fece i suoi soci al 50 per cento, i suoi spettacoli erano sempre sold out, lui si ritirò dalle scene, visse dedicandosi ai suoi studi, dove non ci è dato sapere. 

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