La dama e la gazza
Piero Schirinzi |
Gudula Verhoeven osservava lo spicchio di mondo che la finestra del secondo piano le regalava, era un mondo privo di profondità: il cielo che quel giorno minacciava neve, la Schelda che ora era ghiacciata, i campi su cui si era depositata la galaverna conferendo ai rami spogli di cespugli e alberi l'aspetto di trine e merletti riassumevano l'intera scala dei grigi. Pareva la tavolozza di un pittore cui fosse venuta meno l'ispirazione, pur avendo la sua algida grazia. Due ragazzini pattinavano ormai da ore sul fiume, la primavera era lontana, lo strato di ghiaccio spesso, ridevano felici, incuranti del gelo, si appropriavano delle poche ore di luce che l'inverno a nord regala, i movimenti sinuosi e complici. La ragazza aveva le guance scarlatte, probabilmente ruvide per l'aria pungente ma non le importava, si muoveva al ritmo della danza che è insita nel corteggiamento. Gudula ricordava se stessa a quell'età anche lei ballava così sul ghiaccio con il suo Hendrix, poco importava loro di quello che la gente poteva mormorare. Sapeva di dover tornare alle numerose faccende domestiche che l'attendevano ma non riusciva a distogliere lo sguardo. Era andata in moglie che ancora doveva compiere diciotto anni al maniscalco Hendrix, il primo anno di matrimonio non aveva portato figli, il secondo le aveva donato il nero della vedovanza. Il calcio di un baio folle aveva colpito Hendrix in pieno volto: di quel viso sorridente, del loro amore, dei loro sogni non era rimasto nulla. Gudula aveva dovuto cercarsi un lavoro come governante presso una ricca famiglia di Anversa e si trovava ancora lì a prestare servizio. A distanza di anni la ragazza sorridente aveva lasciato il posto a quella donna dai fianchi arrotondati, il portamento austero e i lunghi capelli ramati raccolti in trecce celate dalla cuffia che guardava il mondo da una finestra come potrebbe fare, a teatro, lo spettatore di uno spettacolo da cui non si sente particolarmente coinvolto pur essendone interessato. Stava per tornare a volgere lo sguardo all'interno della stanza dove ormai la luce appariva insufficiente, a breve avrebbe dovuto accendere il lume a olio, quando si accorse che sulla neve di fronte a casa zampettava una piccola gazza con un'ala apparentemente ferita. Indossò la mantella e le galosce e corse fuori con dei semi di miglio. La gazza pur spaventata non riusciva a spiccare il volo. Gudula sparse i semi, la gazza stremata iniziò a becchettarli e vinta si lasciò acchiappare: "Non temere piccola, ci sono qui io". Per giorni si occupò del pennuto convinta che l'avrebbe liberato non appena fosse stato in grado di volare nuovamente. Prendersi cura della bestiola aveva nuovamente illuminato le sue scialbe giornate fatte solo di incombenze domestiche, le si affezionò molto e quando la ritenne in grado di spiccare nuovamente il volo l'idea di privarsene la pervase di tristezza. Ma il legame doveva essere reciproco, infatti poche ore dopo la liberazione la gazza tornò a picchiettare sul vetro della finestra della camera di Gudula, nel becco teneva un anello d'ottone lucido cesellato che Gudula riconobbe essere il fermaglio che chiudeva lo scialle della domenica di Marijke, la moglie del macellaio. " Ah la mia Dievegge, la mia ladruncola, presto corriamo a renderlo prima che le guardie mi portino in galera per causa tua". Così la gazza ebbe il nome che Gudula mai le aveva imposto credendo che la sua permanenza sarebbe stata di breve durata. Ogni giorno si ripeteva la scena: Dievegge tornava con la refurtiva e Gudula correva a restituirla non appeva veniva a conoscenza del proprietario dell'oggetto rubato. Poi verso la tarda primavera la gazza volò e non fece ritorno. Gudula pianse disperata ma poi pensò che in fondo fosse giusto così: Dievegge aveva riconquistato la sua libertà. Una mattina mentre arieggiava le stanze Dievegge fece ritorno recando nel becco un diadema. Era d'argento smaltato, una coroncina di fiorellini rosa i cui gambi lunghi terminavano tra i capelli di chi la indossava. La donna chiese per tutta Anversa ma nessuno sapeva a chi appartenesse e nessuno ne rivendicava la proprietà. La sera Gudula si tolse la cuffia, sciolse le trecce e la indossò, si osservò allo specchio e sorrise, le sembrò di essere tornata la ragazza che danzava sul ghiaccio. Quella sera nella casa era ospite un pittore amico della famiglia presso cui Gudula prestava servizio e quello passò davanti alla porta socchiusa dietro la quale la donna sorrideva riflessa nello specchio. Passarono i mesi e poiché nessuno rivendicava la proprietà del diadema Gudula iniziò a indossarlo sopra la cuffia. Ora si dice che esista un dipinto di dama con gazza da qualche parte nelle Fiandre perché il pittore innamoratosi di Gudula chiese il permesso di farne il ritratto per poter passare molte ore in sua compagnia.
Il famoso dipinto "La ragazza col diadema d'argento"
RispondiEliminaE pure smaltato badi ben 😁
EliminaPoesia, amore, rammarico, redenzione, gioia.. tracima tutto da questo delicato ritratto ..
RispondiEliminaCaro Franco, ogni tanto mi finisci nello spam e solo blogger sa perché. Sto facendo un ballottaggio sulle storie. di Instagram di gradimento tra gli ultimi racconti, dopo una prima scelta Inn una rosa più allargata sono rimasti la dama e la gazza e la seduta spiritica, mi piacerebbe sapere il tuo parere. Grazie mille
EliminaUna storia dolcissima che si legge tutta d'un fiato.
RispondiEliminaGrazie❤️
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