La cert'ora
Anna Berezovskaya |
Sentivano il contatto della pelle con la sabbia che, umida, cedeva sotto al loro peso. Le dita dei piedi affondavano nella rena, i granelli più fini vi si insinuavano. Erano sedute immerse nell'acqua fino al collo. In alcuni punti il fondale sabbioso cedeva posto ai ciottoli. Una delle tre poggiava con la mano su una pietra più grossa lisciata dall'acqua e dal tempo. Il sasso, stranamente non viscido, le forniva un sostegno perfetto. Quella che sedeva al centro posava gli avambracci sulle ginocchia. L'ultima reggeva tra le mani un filo di perle, forse una collana spezzata o forse lei stessa stava infilando le perle e si era interrotta per godersi l'attimo. Per tutto il giorno il sole aveva picchiato implacabile nonostante le prime foglie iniziassero ad accartocciarsi, riarse da un'estate che non sapeva morire. Ora un quarto di luna saliva in cielo, avrebbe rischiarato lo specchio d'acqua nellecprossime ore, al momento la luce radente del sole ormai tramontato gli rubava la scena. Le tre creature guardavano verso l'alto, nella stessa direzione. Quali pensieri accompagnassero quel loro concentrato silenzio non è dato sapere, tuttavia a guardarle si percepiva un senso profondo di pace. Seguendo la direzione dei loro sguardi si poteva scorgere uno stormo in volo. A osservarli attentamente si sarebbero detti esseri inadatti alla vita aerea: avevano braccia spiegate come ali, l'indice delle mani teso nello sforzo del volo che ne ricordava le punte; possedevano tuttavia terga piumate e se si fossero posati si sarebbero notate delle tozze zampette con gli artigli piccoli e innocui dei passeri. Come quelli si nutrivano di insetti catturati in volo: si libravano, eseguivano volteggi poi cabravano, viravano e scendevano in picchiata. Senonché avevano sembianze che un tempo appartenevano agli umani ma si spostavano con il tipico volo, insieme folle e gioioso, delle rondini. Dallo specchio d'acqua le tre creature ne seguivano ammirate le evoluzioni, avevano atteso quel momento per tutto il giorno e poco prima erano emerse a celebrarlo. Assistere allo spettacolo costava loro fatica: trattenere il respiro fuori dall'acqua era una sfida che si prolungava quasi fino allo sfinimento. Sui loro corpi di donna si ergevano infatti teste di pesce, le squame scintillavano alla luce radente che riverberava sullo specchio d'acqua del lago, eppure a quella esibizione quotidiana, per loro letteralmente mozza fiato, non sapevano rinunciare. Ancora pochi giorni e gli esseri volanti si sarebbero radunati e avrebbero iniziato i loro lungo viaggio migratorio in cerca della luce e del calore. I sogno di un'eterna stagione calda guidava il loro istinto. Le chimere d'acqua avrebbero atteso sotto la superficie il ritorno della primavera per godere nuovamente dello spettacolo. Intanto in cielo lo show andava esaurendosi. Dove dormivano di notte quegli esseri? Quale nido poteva contenerli? Non erano domande interessanti per le devote spettatrici d'acqua. Quando l'uomo aveva abdicato all'istinto animale della conservazione della prole e della specie, pensando che costruire apparecchi in grado di oltrepassare i confini impostigli dalla natura lo avrebbe affrancato dalle regole elementari della sopravvivenza, il conto alla rovescia era iniziato. I moniti della Scienza, che pure aveva lavorato per sfidare i limiti umani, erano rimasti che inascoltati; gli scienziati come Cassandre parlavano a esseri sordi, danzanti, festosi sull'orlo dell'abisso. Ora che tutto si era compiuto e che nuove specie abitavano il pianeta l'armonia vigeva tra esse. Non si trattava tuttavia di un Eden, non erano infatti abolite le piramidi alimentari, i più deboli continuavano a soccombere. Erano nondimeno spariti l'accumulo e la sopraffazione. Lo stupore abitava il mondo e con esso una sorta di infantile innocenza. Dopo anni la neve era tornata ad ammantare i paesaggi in inverno. I ghiacciai a sciogliersi solo in primavera e in estate rifornendo gli esseri viventi di acque più fresche e dolci seppure le temperature non fossero ancora rientrate ai livelli di prima della catastrofe; erano comparsi frutti spontanei su alberi e arbusti ed erbe sui prati anche se i semi avevano dato frutti diversi da quelli noti come conseguenza di incroci spontanei e inattesi. Alcuni esseri avevano iniziato a raccoglierli e a seminarne in modo da aver provviste per la stagione buia. Quell'ultima sera dunque prima della grande migrazione avvenne un fatto non del tutto insolito per quei tempi. La chimera d'acqua che reggeva tra le mani il filo di perle si attardò a osservare il volo di un ultimo essere volante. Sembrava meno in affanno del solito quasi si stesse adattando all'ossigeno dell'aria - non è forse così che si evolvono le specie? - il volatile parve incuriosito da quella figura che lo osservava dal pelo dell'acqua e iniziò a volare sempre più in basso fino a quando tese le braccia alla chimera che stava studiando il suo volo e quella allungò le sue verso l'alto in un inusitato abbraccio. Quando atterrarono esplorarono reciprocamente i corpi l'uno dell'altra e poiché a quei tempi non vi era la separazione tra le specie che aveva governato il mondo prima della catastrofe, si unirono. Il volatile depositò nuovamente la chimera sull'acqua e con un ultimo volo si accomiatò da lei raggiungendo il resto dello stormo pronto al lungo viaggio. Dopo una gestazione di nove mesi la chimera partorì un essere che somigliava a quello che veniva definito uomo prima della fine dell'era precedente, aveva braccia e gambe e prima di ogni altra cosa si nutriva d'aria. Lo portò dunque a riva e lo depose in una giaciglio che aveva forgiato intrecciando canne. A ricordo del suo concepimento legò al suo esile collo bambino la collana di perle che aveva con sé quella sera. Si divideva tra il suo mondo d'acqua e quello terreno del figlio per non abbandonarlo al suo destino. Una nuova estate era arrivata e con essa lo stormo. La chimerà attese di rivedere il padre di suo figlio ma quello non fece ritorno. Non era inconsueto che gli imprevisti del lungo volo mietessero vittime. Crebbe così quel suo strano figlio da sola: il piccolo aveva voce e parole a lei ignote e con il tempo iniziò a perlustrare il mondo sempre più lontano dal lago, in luoghi dove lei non era in grado di seguirlo. Ora che l'uomo aveva imparato a volare come gli uccelli e a nuotare come i pesci era ora che imparasse nuovamente a vivere sulla terra come gli umani.
La mia unica consolazione di fronte alla catastrofe climatica è che probabilmente dopo la nostra scomparsa (meritata, sono triste solo per i più giovani) la Terra risanerà. Grazie per aver messo parole ed immagini su questo sentimento.
RispondiEliminaGrazie a te per aver avuto la pazienza di leggermi
EliminaIl finale del racconto ci dà qualche speranza...magari ripartendo dai pesci e dalle rondini abbiamo qualche possibilità...la volta precedente è iniziata con le scimmie e non è andata molto bene...:-)
RispondiEliminaChissà
EliminaLa cura del dettaglio che si vede, la fantasia del dettaglio che s'immagina, la passione del dettaglio che sarà.
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