Domenica al parco
Maraya.ill |
La funzione del Reverendo Ufere era stata "solenne e molto partecipata", secondo la mamma, ma Keshia aveva visto il Signor Musenda, il papà di Shonari, sbirciare più volte l'ora sul cellulare segno che non era stata la sola ad annoiarsi durante il sermone. Le funzioni del Reverendo Ufere avevano tutte la stessa caratteristica: si sapeva quando iniziavano ma mai quando finivano. A lei piaceva solo la parte cantata, loro tre amavano cantare insieme e nella comunità erano note per le loro belle voci. Certo il Reverendo era parso particolarmente ispirato, la mamma non si era persa una parola, come sempre del resto. Halina l'aveva zittita ogni volta che provava a parlarle, smaniava nell'attesa di proseguire il loro rito domenicale. Quando erano più piccole la mamma le vestiva con gli abiti eleganti della festa, lei vestiva gli abiti tradizionali. Papà diceva che la mamma era sempre bella ma che alla domenica, quando vestiva secondo la tradizione sembrava una regina. Keshia sperava di imparare a camminare come faceva la mamma nei suoi abiti colorati e con i copricapo che la facevano sembrare ancora più alta. Ogni settimana la domenica si alzavano presto in modo da poter accogliere il papà di ritorno dal turno di notte in fabbrica, facevano colazione insieme e gli occhi stanchi del papà si illuminavano un poco mentre chiacchieravano prima di lasciarlo andare a dormire. Loro uscivano per andare alla funzione. La "chiesa" era una grande sala che un tempo era stata un magazzino sul retro della stazione. Vi si accedeva tramite un lungo e stretto corridoio che divideva il negozio di frutta e verdura gestito dal Signor Musenda da una scuola privata professionale per estetiste. La domenica la scuola era chiusa mentre il Signor Musenda teneva aperto prima e per un'ora dopo la funzione. Sapeva di poter fare affari tra coloro che uscendo dalla funzione approfittavano degli sconti che applicava proprio quel giorno per svuotare il negozio della frutta e della verdura ancora buone ma un po' troppo mature. Finita la funzione come sempre, salvo quando pioveva o nevicava, andavano al parco portando gli zainetti con i compiti che ancora mancavano da fare, i colori e con un libro della biblioteca scolastica. La mamma insisteva che dovevano imparare bene l'italiano, che non bastava parlarlo bene come loro ma che era necessario scrivere molto e imparare tante parole e quelle si trovavano nei libri. All'inizio andavano al parco perché la mamma non voleva che le bambine piccole disturbassero il sonno del papà, poi però era diventata una tradizione e ciò che amavano più fare era arrivare alla loro panchina, sempre la stessa da anni, e dopo aver mangiato la frutta comprata dal Signor Musenda, prendere dagli zaini i colori e gli album e mettersi a disegnare. La mamma si sedeva su una panchina poco distante, a volte veniva raggiunta da alcune amiche, specie nelle giornate di sole, le loro chiacchiere facevano da colonna sonora a Keshia e Halina mentre disegnavano. Altre volte la mamma era sola e quando alzavano i disegni per farglieli vedere sorrideva in segno di approvazione, talora si addormentava, altre volte leggeva, ma sempre lo stesso libro. Un giorno quando era più piccola Keshia le aveva chiesto :"Ma non ti annoi a leggere sempre lo stesso libro?". Halina le aveva dato un calcio sotto la panchina e le aveva fatto gli occhi brutti, così lei aveva capito che doveva stare zitta. Poi la sera a casa prima di dormire le aveva spiegato che la mamma non sapeva leggere, le aveva detto che leggeva come i bambini di prima scandendo le sillabe e che si esercitava sempre sul quel libro, ma faceva molta fatica. Lei prima si era meravigliata perché la mamma sapeva un sacco di cose e Halina le aveva risposto "Perché credi che ascolti sempre la radio?" Domandò poi perché ci tenesse tanto che loro imparassero, Halina le spiegò che in Africa la scuola era distante da casa, ma soprattutto c'era una guerra civile in corso quando la mamma era piccola e che quindi lei non aveva potuto studiare e che era anche il motivo per cui ci teneva molto che lo facessero loro. Keshia le aveva quindi chiesto "Perché non glielo insegniamo noi?" e Halina le aveva risposto: "Zuccona dobbiamo fare finta di non saperlo perché si vergogna" Kashia aveva allora pensato che nessuno dovrebbe vergognarsi di aver voglia di imparare ma aveva considerato che generalmente Halina ne sapeva sempre più di lei e non aveva insistito. Ad un certo punto del pomeriggio il papà le raggiungeva, lavato e profumato "Per non fare sfigurare la mamma" diceva facendo l'occhiolino, la mamma a quel punto lo picchiava scherzosamente con la borsa, facevano una passeggiata nel parco e poi rientravano a casa. Il lunedì era dietro l'angolo
RispondiInoltra |
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaAssolutamente no
EliminaAccordare un racconto simile al disegno pubblicato stupisce ancor più del già magnifico narrare. Disegnare una storia così colma di pensieri sfuggiti al silenzioso colorare, leggere o scrivere su quella panchina è indice di quanto cuore dedichi a ornare una storia, di quanto tu possa ricavare da un nulla, tutto sommato: ma un nulla che si confida ad un cuore grande.
RispondiEliminaMille grazie Franco
EliminaMi piace questo racconto pieno di umanità
RispondiElimina