Io, la mia casa e tu
Kalaillustration |
Ci sono storie che vanno lette e altre che vanno ascoltate. Tra queste alcune vanno ascoltate stando stesi come si faceva da bambini, un occhio pronto a spalancarsi per lo stupore e l'altro già intento a scivolare nel sonno, cugino dei sogni. Poi ci sono altre storie da ascoltare seduti o dritti in piedi quasi sull'attenti, l'orecchio teso perché un orecchio pigro obnubila le coscienze. Spesso queste, sono storie buone per raccogliersi, indignarsi, rabbrividire. Richiedono la vicinanza di una mano pronta ad accogliere e stringere la nostra, un forte abbraccio a portata di mano o di altre orecchie attorno capaci di ascoltare con altrettanta attenzione. Sono storie che tolgono il sonno cugino degli incubi. Per questa piccola storia fate come vi pare ma stesi su un bel prato o sulla spiaggia scaldata dal sole in riva al mare si ascolta meglio. Le storie come questa non mentono, la fantasia non è mai bugiarda. Quella volta quindi c'era un bambino e se lo si guardava non si sapeva bene come battezzarlo, di sicuro non Ludovico e men che meno Matteo, ma non è che gli si potessero fare indossare tutti i nomi per capire quale gli stava meglio, quindi lo chiameremo "il bambino". Era un bambino non abbastanza piccolo da essere al centro di tutte le attenzioni del suo intero mondo, né abbastanza grande da avere il permesso di andare in giro per il mondo da solo a esplorarlo. Era insomma proprio un bambino e faceva bene il suo mestiere: era infatti molto curioso, chiedeva sempre i nomi delle cose e domandava sempre perché , provava anche a capire come funzionassero le cose, tanto che spesso le smontava, però quando le rimontava a volte di pezzi ne avanzavano, e accadeva che le cose così riassemblate non sempre funzionassero ma lui intanto i pezzi in esubero li aveva nascosti. Il bambino amava il mare, ci andava a trovare i nonni che ci abitavano, soprattutto in estate. Gli piacevano le conchiglie, i castelli di piroli di sabbia bagnata, l'acqua salata che pizzica il naso, la pelle delle dita stropicciata dalla lunga permanenza in acqua. Quando la nonna lo chiamava dalla riva faceva finta di non sentirla e aspettava quei piccoli pesci dorati che andavano a baciargli le caviglie. Ma la cosa che amava di più al mare erano le file di casette di legno colorato che stavano sul fondo della spiaggia dove la sera il bagnino riponeva gli ombrelloni e di giorno la nonna andava a cambiarsi il costume. Le trovava bellissime erano casine proprio su misura per lui, Avrebbe potuto portarci i pastelli e le costruzioni e andarci ad abitare. Quando era al mare con i nonni la cosa che gli piaceva di più mangiare era l'insalata di polpo e patate che nonna preparava, chiudeva gli occhi a ogni boccone aspettando che una ventosa si appiccicasse sulla lingua o sul palato un misto tra magia e orrore. Si faceva regalare e leggere dal nonno i libri sui cetacei: esseri enormi capaci di respirare come lui pur abitando nella profondità di mare e oceani. Quei libri non lo annoiavano mai e così aveva imparato a distinguere le megattere dalle orche, i delfini dalle balenottere azzurre. Avrebbe potuto ascoltarne e parlarne per ore. Quando l'estate finiva il bambino tornava alla sua casa di città e il pomeriggio andava al parco con la mamma o il papà quando usciva da scuola. Se era piovuto indossava i suoi stivali di gomma azzurri con i delfini, saltava sulle pozzanghere e metteva in salvo le lumachine che imprudentemente lasciavano l'erba avventurandosi per i vialetti dove sfrecciavano le bici e i monopattini elettrici, amava le strie iridescenti che le lumache lasciavano procedendo lentamente in un mondo pensato per la velocità. La mamma gli dava dei semini di miglio da lasciare agli uccellini quando faceva freddo e portavano il pane avanzato per le papere del laghetto. Alla mattina, quando nel weekend facevano colazione tutti insieme, giocavano alla gara di storie libere, ognuno doveva raccontare agli altri una storia poi veniva votata la più bella. Il bambino cominciava ad avere la sensazione che lo lasciassero vincere, ma tutto sommato non gli dispiaceva, ai bambini piace vincere. Una domenica il bambino si svegliò e corse nella stanza dei genitori, aveva fretta di fare colazione, doveva raccontare la sua storia, la più bella di tutte, "Nessuno" disse "ne avrebbe avute di più belle". Nonostante fosse molto presto e i genitori fossero ancora molto addormentati, andarono in cucina. Il papà preparava latte e caffè, mentre la mamma imburrava il pane, il bambino impaziente iniziò a raccontare che aveva fatto un sogno. Nel sogno camminava nel boschetto del parco che però era diventata una gigantesca foresta e portava al guinzaglio una delle cabine della spiaggia. Quella era la sua casa, aveva perfino una finestrella tonda in alto verso il tetto. Era un po' come succedeva alle lumachine che potevano viaggiare con la casa al seguito ma la casa non aveva le ruote come i camper, viaggiava senza. Questo perché nella casa era nascosto un enorme polpo che era diventato suo amico mentre aspettava di essere sbattuto e poi messo in pentola nella cucina della nonna. Lui e il polpo avevano stretto un patto: lui avrebbe salvato il polpo riportandolo al mare e il polpo avrebbe trasportato la sua casetta, Il problema era che la foresta era enorme e stavano camminando da giorni senza arrivare al mare. Ad un certo punto nella foresta si era aperta una gigantesca radura e in quella stava, l'enorme bocca spalancata, una megattera. Questa era di colore rosso fiammeggiante. "Buongiorno Signora Megattera, mi sa indicare come arrivare al mare? Io e il mio amico polpo ci siamo persi e io gli avevo promesso di riportarcelo". "Mio caro ragazzo, il mare è molto distante, ma il tuo polpo potrà salire a bordo e volando lo riporterò io laggiù". Il bambino era felice, il polpo invece piuttosto preoccupato non gli pareva bello salvarsi dalla pentola della nonna per finire nelle viscere nere della megattera rossa. Quella però parve indignata dalle sue perplessità, ci vollero diverso tempo e molte spiegazioni ma alla fine il polpo si convinse. La megattera si levò in volo e il bambino la vide volare alta nel cielo che per un momento fu interamente colorato di un rosso fiammeggiante. "Poi mi sono svegliato" disse il bambino. Mamma e papà le bocche aperte per lo stupore batterono le mani, ora potevano fare colazione.
Si torna a fantasticare
RispondiEliminaIn certi momenti è necessario
EliminaPat
RispondiEliminaHo letto un’infinità di racconti ai miei figli quando erano piccoli, e tuttora mi piace ascoltarne….
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