La saggezza nell'inutilità

Daniel Àlvarez  @Tlacuiloa

 







Il nonno era geniale e poco importa se le sue invenzioni fossero quasi sempre inutili, lui mi ha insegnato a guardare lontano, a coltivare sogni. «Quando il contadino ara la terra e ci depone il seme, sta immaginando il futuro» mi diceva «Ci vuole curiosità per cambiare il mondo e un pizzico di follia». Ho avuto per lui sempre molta ammirazione, aveva una specie di perseveranza sposata a uno stupore che si è mantenuto bambino oltre gli anni della maturità; e questo, in aggiunta all'amore incondizionato che nutriva per me e che io ricambiavo, me lo ha fatto sentire teneramente vicino fino alla vecchiaia. Il nonno si chiamava Lionello, Nello per chi amava. Calzava scarpe di tenero pellame stringate e lucidissime. Sosteneva che la gentilezza sommata a un paio di scarpe ben lucidate fossero un ottimo biglietto da visita specie se associate a un buon uso della logica e a un eloquio impreziosito da un ricco vocabolario usato con sapienza. Ancora oggi lucido quotidianamente i miei calzari pensando che da qualche parte nonno Nello possa notare una qualche mia trascuratezza nel presentarmi al mondo e sfoglio con gusto il vocabolario dei sinonimi e contrari. Indossava pantaloni alla zuava a qualsiasi stagione, di stoffa robusta in estate, di velluto a coste in inverno, li trovava più comodi sia per camminare, attività che sosteneva acuire l'ingegno e affinare le idee, sia per le varie attività a cui si applicava specie in fase di elaborazione dei prototipi. Sempre mi raccontava di come tutto aveva avuto inizio dopo un soggiorno a Parigi, quando aveva scoperto i codici di Leonardo, soprattutto i disegni, era ancora ragazzo allora, di lì gli si era aperto un mondo. Certo sapeva di non averne la genialità ma devo dire né l'inventiva né la tenacia gli fecero mai difetto e con i suoi più semplici brevetti mantenne sé e la famiglia. Ma era sulle opere più fantasiose che si applicava maggiormente. Passava ore a studiare un progetto. Leve, fulcri, forze e vettori, spinte, pesi e contrappesi, si appassionava peggio di un tifoso in vista del derby e quanto più un'idea lo rapiva, tanto più gli piaceva condividere con noi i progressi nella progettazione a pranzo e cena: spostava piatti e bicchieri, incrociava le posate creava cerchi con le molliche di pane salvo poi improvvisamente rendersi conto di un imprevisto, di cui non aveva tenuto conto fino a quel momento, e quindi, dopo la dovizia di particolari con cui ci aveva illuminati, rabbuiarsi e, scusandosi, ritirarsi nel suo studio per ricominciare tutti i calcoli fin da principio. A quel punto la nonna sorrideva «È fatto così, cosa volete farci?» le si imporporava il viso, a metà strada tra l'imbarazzo e l'orgoglio per quel suo sposo così singolare. Tra le invenzioni del nonno: il batiscafo per pappagalli, la sedia a dondolo aerostatica, il giroscopio per mantenere la rotta verso Aldebaran, un biciclo per arrotini alimentato a energia eolica. Inutile dire che non si sarebbe trovato un pappagallo disposto a inabissarsi per studiare la luminescenza dei pesci delle profondità marine o la varietà delle barriere coralline dei fondali oceanici. Forse sarebbe stato più semplice trovare arrotini disposti a dimezzare tempo e fatica per fare il filo alle lame dei coltelli da cucina ma fu nonno Nello quella volta a stabilire che quella invenzione non avrebbe apportato nessun sostanziale vantaggio all'umanità e non si passò neppure a costruirne il prototipo. Poi giunse il momento del progetto dei progetti, quello che gli rubò il sonno e l'appetito. La nonna si alzava al mattino e lo trovava ancora chino sulle sue carte alla scrivania la grossa cuccuma di caffè, che aveva preparato su sua richiesta la sera precedente, ormai vuota sulla scrivania, gli occhi arrossati e spiritati, estremamente concentrato, goniometro, squadre e stecche a portata di mano. Lavorava per ore interrompendosi solo quando lo minacciava di digiunare lei stessa se non si fosse presentato a tavola. Questa volta sembrava perfino che la condivisione gli fosse di peso. Preoccupati, dopo giorni di questo incessante fervore, i miei genitori, la nonna e gli zii mi spedirono nel suo studio, certi che avrei saputo distrarlo come sempre. In un certo senso la mia intrusione sortì qualche effetto perché alle mie domande il nonno non riuscì a non rispondere, in fin dei conti era lui che mi aveva insegnato a coltivare curiosità e fantasia. Così mi mise a parte del suo progetto: si trattava di un velivolo monoposto a propulsione eolica, realizzato in legno di balsa, la forma, per quanto potevo capire, non mi pareva molto aerodinamica, a giudicare dagli schizzi che vedevo sul suo tavolo da lavoro, ma a ben guardare neppure un calabrone dovrebbe essere in grado di volare eppure lo fa. Passò altri giorni sui calcoli e una sera a cena ci comunicò che era pronto a realizzare il prototipo. Tutti tirarono un sospiro di sollievo, finalmente avrebbe lasciato il chiuso della stanza e si sarebbe dedicato ad attività manuali all'aria aperta, Chiesi al nonno di poter seguire l'assemblaggio e lui tutto entusiasta acconsentì. La sera in cui il prototipo fu pronto mi portò con sé nel laboratorio. Lo indossò, il monoposto infatti si poteva indossare semplicemente, come una salopette, tramite due semplici bretelle. Da dentro quella specie di botticella, munita di elica rotante sul muso, e un minuscolo propulsore eolico in coda, il nonno mi trasse a sé e mi indicò l'orizzonte

«Vedi piccolo mio volerò in quella direzione»

Guardai dove la sua mano mi stava indicando, non c'era che azzurro

«Nonno, ma noi siamo passeri, voliamo per natura, dov'è la novità?».

«Piccolo mio, non capisci, sarò il primo passero migratore che vive a questa latitudine, ho sempre desiderato vedere i mondo, la terra del Fuoco, l'Africa sub Sahariana, l'Equatore mi aspettano».

«E quindi non farai ritorno?»

«Ho inventato questa macchina per poter andare e tornare comodamente perfino alla mia età, aspetta un po' di tempo prima di dire alla nonna che sono partito, qualcuno mi volerebbe dietro e tu capisci bene che è la mia chance».

Non riuscimmo ad abbracciarci ma ci stringemmo le mani a lungo, poi con qualche passo di rincorsa decollò e planò subito veloce verso il punto luminoso e azzurro che mi aveva indicato e sparì alla vista. Contai dieci volte cento poi tornai a casa e annunciai che il nonno era partito sul suo prototipo di monoposto a propulsione eolica. Qualcuno rise, la nonna sospirò e iniziò l'attesa, passarono i giorni e i mesi, tutti contavano di vederlo tornare al cambio di stagione. Io non so se qualcosa nei suoi calcoli non andò per il verso giusto, se trovò che il mondo alla fine del mondo fosse più bello che qui, so che non fece ritorno, ma io sogno e nei miei sogni il nonno si sta godendo la vecchiaia su qualche spiaggia ai Caraibi dove affitta batiscafi ai pappagalli per esplorare la barriera corallina.

Commenti

  1. I nonni a volte vorrebbero volare lontano ma i nipoti li trattengono e fanno diventare le loro voglie solo dei sogni

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  2. Un racconto delizioso con epilogo "reprise" da sballo. Ho sognato davvero col nipote passero e con la tua graziosa scrittura, e mi sono involato anch'io per terre lontane.. grazie!

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