Notti senza luna

 

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Dalla tarda primavera era così che trascorreva le sue giornate: fermo immobile, sotto il sole o con il vento, perfino sotto la pioggia battente e con i cielo squassato da saette. Il suo non era lavoro che uno si scegliesse, veniva assegnato: " Tu qui!" gli avevano detto. Quella sottospecie di ridicola divisa "Potevano anche indossarla loro o ficcarsela..." no, non era un tipo volgare, certe cose poteva al limite pensarle, ma non le diceva e questo nonostante alla sua giovane età venissero perdonate le cadute di stile. Sicuramente proveniva da una famiglia in cui l'educazione aveva ancora un certo peso. E poiché lavorava in quella stagione dell'anno in cui le giornate tenevano all'infinito, e poiché l'orario di lavoro stabilito era dall'alba al tramonto, non è che, tolte le ore di sonno, di tempo per se stesso ne rimanesse molto. Si ha un bel dire che i giovani di oggi non hanno più voglia di lavorare, che piuttosto di accettare un lavoro stagionale, stanno in giro a bighellonare, ma in tutta onestà, come si può pretendere che uno lavori dalle cinque del mattino alle nove di sera, senza interruzioni e senza un salario minimo garantito. Le sue giornate sarebbero state interminabili e noiose: non poteva distrarsi e quindi niente lettura "Nella prossima vita rinasco bibliotecario o libraio" pensava, ma fortunatamente era un grande osservatore. Osservava l'ondeggiare delle spighe mosse dal vento che mutavano colore con il passare dei giorni prima tutta la scala dei verdi poi tutte quelle dei gialli, ascoltava il frinire delle cicale "Nella prossima vita rinasco cicala, tutto il giorno a cantare" pensava, studiava il vai e vieni operoso delle formiche, nutriva per loro molta stima ma sostanzialmente poco affetto, tutta quella industriosità stakanovista non faceva per lui, che lavorava per necessità.  Finalmente rimavano lì solo lui e gli ultimi voli folli delle rondini e questo lo faceva annusare aria di libertà. Quante volte alzando gli occhi al cielo sentendole garrire, o spaventandosi un poco quando gli sfrecciavano troppo vicino aveva pensato "Nella prossima vita rinasco rondine". Poi anche quelle si dileguavano, l'ultima luce radente faceva virare dal rosa, al bianco e poi al grigio le pance grasse delle nuvole e lui le osservava mutare forma e non si stancava mai di provare a indovinare con il naso all'insù, anche se sarebbe stato più bello avere qualcuno con cui condividere il gioco e pensava "nella prossima vita rinasco nuvola". E finalmente il giorno moriva e la luna gli indicava la via di casa: a volte era una piccola unghietta, a volte era mezza con una espressione bonaria, a volte alta e argentea a volte bassa, grossa, tronfia e rossa e lui pensava "nella prossima vita rinasco luna". Ma erano le notti senza luna le sue preferite, attraversava i campi mentre le lucciole eseguivano le loro danze d'amore, sembravano stelle cadenti provenienti da minuscoli universi lontani, gli aprivano la via o sembravano rincorrerlo, e pensava "nella prossima vita rinasco lucciola" e finalmente dopo quella corsa che lo faceva riprendere possesso della sua esistenza arrivava sulla porta di casa, si lavava di dosso il sudore, la polvere, mangiava e poi cadeva in un sonno pesante e sognava di essere la mano che sceglieva un libro in cui si narrava che la luna veniva offuscata da una nuvola che cantava e volava velocissima, poi scendeva in picchiata fulminea illuminandosi di una luce calda mentre ballava innamorata. Quando i rumori nella piccola casa mutavano, non era ancora l'alba ma ogni sua fibra intuiva che era ora di alzarsi e lui pensava "un momento, uno ancora" non si sentiva pronto per un nuovo giorno di questa sua vita in cui era rinato spaventapasseri.









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