Nuove rotte

 

Lateogoniaillustrata



Metto in moto lo scooter e parto direzione sud est. L'ho comprato, usato, proprio per questo viaggio. Spendere in questo momento non sarà forse la risposta più sensata: perdere il lavoro dopo i cinquant'anni è una pesante ipoteca sul futuro ma non intendo soccombere all'angoscia, Non ancora almeno. Non sono un debuttante dei calci in culo, non so bene se definirlo un vantaggio, fate voi. Per come vanno le cose negli ultimi anni non escludo che non possa essere nemmeno l'ultima volta. Le case e poi i capannoni di questa immensa colata di cemento che è la pianura padana, riluttanti lasciano posto alla campagna. È un'estate torrida, fuggo dall'afa ma non abdico a me stesso. La prima volta che venni licenziato fu un colpo, orgoglio ferito, senso di inadegutezza, tutto il corollario della mancanza di autostima. La mancanza di autostima è il tallone di Achilla di chi come me ha avuto un padre che lo ha trattato sempre da perdente, ma non buttiamo troppa carne al fuoco. Il mio matrimonio era in crisi da un anno, i bambini erano piccoli così provavamo a resistere. Confesso sono un uomo che dà il meglio all'inizio di un rapporto: il corteggiamento, la vampa della passione, tendo però a spegnermi come un cerino appena mi sento sicuro del rapporto. Quando viene richiesto maggior impegno mi dileguo. La madre dei miei figli è bella in tutti i sensi, quindi pensai che potesse essere la svolta, un solido rapporto maturo. Ma non mi ha cambiato neppure lei. Abbiamo allora fatto il possibile  perché i bambini dovessero subire il minor stress possibile dalla separazione. Proprio in quel periodo sul lavoro le cose si mettevano al peggio. Sono stato la cosa più vicina a un giunco per troppi anni. Flesso, praticamente prostrato, fino a annusare l'odore marcio delle impronte lasciate dallo sciacallo speculatore. Ho mutato sembianze come un ramarro, mi sono lasciato trasportare dalle correnti pur di non perdere quello che avevo costruito fino a quel momento ma non bastò, non basta mai in questo gioco al massacro che è il mercato del lavoro, forse una tempo era così, ora non più. Ho cambiato città e perfino nazione, spostarmi all'estero significava non vedere crescere i miei figli che erano rimasti in Italia con la madre. Forse non saprò essere un buon compagno ma non ho voluto essere lo spettro di un padre. Il contratto durava un anno con possibilità di rinnovo. Ho deciso di rientrare appena trovato un nuovo impiego. Per questo giro di giostra ho cambiato ruolo: la vittima è diventata carnefice. Dopo un paio di anni in cui le cose sembravano andare per il meglio ho imparato a fare ad altri quello che non avrei mai fatto a me stesso: ho licenziato. All'inizio l'ho fatto convinto che servisse a salvare il lavoro ad altri. Da mesi si rincorrevano le voci di possibili tagli al personale e, prima che si capisse che sarebbe toccato a me l'ingrato compito, c'erano padri di famiglia, con cui condividevo la pausa pranzo in mensa, che mi confidavano le loro ansie. Gente che lavorava lì dentro da anni con impegno e poichè io ero stato assunto con il ruolo di "problem solving" si domandava e mi domandava se ci fossero i margini per una soluzione in grado di salvarci tutti e proponeva strategie per un rilancio. Ma non c'era alcuna volontà, come compresi in seguito, di metterle in atto. Il gioco consisteva nello svuotare la scatola dai contenuti e vendere l'involucro nel minor tempo possibile e questo nonostante il nostro fosse tutt'altro che un ramo secco di quella multinazionale. La finanza non si è mai interessata di uomini e tanto meno di anime. Ricordo la prima ragazza che lasciai a casa: la scelta mi parve facile e scontata, era al suo primo lavoro, non aveva una famiglia da mantenere, viveva ancora con i genitori e non sembrava amare particolarmente quello che faceva. Mi giustificai con me stesso dicendo che le avevo solo dato una spinta a lasciare quello che non amava fare, mi raccontai che probabilmente in futuro mi avrebbe perfino ringraziato. La convocai e glielo dissi, secco, senza giri di parole. Sorrise, rispose come se le avessi chiesto conto degli ultimi compiti che le avevo affidato, poi si zittì e cambiò espressione, improvvisamente, incredula, aveva realizzato. La vittima perfetta non esiste, mi fu chiaro quel giorno. Non aveva avuto nessun sentore di quello che le stava per accadere, avvertii come un cazzotto allo stomaco, stavo assassinando quello che di infantile rimaneva in lei, non me lo perdonai, se chiudo gli occhi ho ancora chiara l'immagine. Le alte sfere iniziarono a presentarmi ogni due o tre mesi un numero di "esuberi" su cui calare la mannaia e io, come il boia, facevo il mio sporco mestiere. Alla fine il mio lavoro era diventato quello. Ho cercato le parole, ho ingoiato il dolore e la rabbia dipinti sui volti che avevo imparato a rispettare o anche semplicemente a conoscere giorno per giorno dopo anni di lavoro condiviso. Scegliere chi sacrificare toccava di volta in volta a me.  Ho iniziato a non dormire: in un incubo ero la regina di cuori di Alice nel paese delle meraviglie e giocavo a criquet con le teste decapitate dei miei colleghi, mi svegliavo in preda al panico e ingoiavo l'acido e la bile che mi rodevano notte dopo notte. Mi processavo e mi assolvevo all'alba quando preparavo la colazione per i miei figli nei giorni in cui erano affidati a me, per poi soccombere al giudizio degli sguardi sempre più carichi di odio quando varcavo le porte della ditta. Io che avevo il maggior numero di amici tra i colleghi mi trovai solo e non ebbi neppure la dignità di chiudere quando il fenomeno assunse le dimensioni di una mattanza: al momento non vedevo alternative e il mantenimento dei miei bambini, era un cappio attorno al collo. Poi giunse il mio turno e fu un sollievo. Potevo sperare di ricominciare a guardarmi allo specchio senza provare ribrezzo. 

Lascio la statale e imbocco la litoranea a est il mare è una tavola, a ovest la costa va alzandosi, ulivi e oleandri si susseguono. Nonostante l'età trovai abbastanza in fretta un nuovo impiego, non era esattamente il mio lavoro ma alla mia età e di questi tempi non si può fare lo schizzinoso, si capisce, tanto più che lo stipendio era buono. Continuai comunque a fare colloqui in giro e intanto facevo la mia parte. Arrivò la pandemia e la speranza di cambiare lavoro in tempi brevi si vanificò. Non ho mai trovato soddisfazione in quello che facevo ma passava il tempo e cominciai a tessere nuovamente una piccola rete di conoscenze. I giorni si sono trasformati in mesi e i mesi in anni. Quando a un certo punto però ci fu un cambio ai vertici e la mia diretta superiore fu spinta alle dimissioni compresi che la danza era nuovamente cominciata e questa volta mi trovavo da subito in una posizione precaria: a ogni giro di giostra i quadri sono i primi a cadere. Iniziò il mobbing, non che non me lo aspettassi ma le docce fredde quotidiane sono sempre dure da digerire. Intensificai i colloqui e quello che prima mi risultava facile - riuscire a vendere al meglio le mie capacità e la mia esperienza - si trasformò in un calvario. A ogni occasione persa diventava sempre più difficile accettare i trattamenti che mi venivano riservati. Insinuazioni sulla mia integrità sul posto di lavoro, dubbi sulla gestione amministrativa, erano all'ordine del giorno. Sono diventato un incassatore mio malgrado, non avevo intenzione di rendere facile la vita agli speculatori, me ne sono andato solo quando ho ricevuto il mio buono uscita insieme alla lettera di licenziamento. Parcheggio la moto, mi cambio e mi butto subito in acqua e nuoto, da prima le bracciate sono rabbiose affronto le onde come farebbe un naufrago che nuota per la sopravvivenza.  Quando inizio a rallentare il ritmo la costa è lontana e finalmente mi arresto, il respiro rallenta, le mie lacrime si mescolano al salso del mare. Mi giro sul dorso, il sole mi accarezza il viso, allargo le braccia e finalmente sorrido. Sto cambiando rotta.

Commenti

  1. Ne ho cambiati diversi ma mai che mi fossi sobbarcato l'onere di mandar via qualcuno, piuttosto sarei andato via io e infatti è successo.
    Non ho capito bene cosa intende il tuo uomo per cambiamento di rotta, non so se ho voglia di capirlo. Dico che il tormento di chi forzatamente fa il suo mestiere è forte e in qualche modo l'hai fatto capire.

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    1. Forse riparte da se stesso, forse spera in nuovi orizzonti. Pubblico questo post ora, qui, dove avrebbe dovuto essere fin da principio perché lo avevo inviato a una rivista ma non è stato selezionato. Ora la smetto di provarci e mi fermo qui in casa

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    2. Credo invece che dovresti insistere, hai qualità e prima o poi saranno riconosciuta.

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  2. L'idea è come di rassegnazione costruttiva, del resto, se ti specializzi in problem solving, alla fine sei il primo a usufruire della specializzazione, seppur in mezzo a traumi e frustrazioni. Ti fai una nuotata e sorridi al futuro, qualsiasi futuro. Perché è vero che cambi rotta, ma non navighi su un barchino di immigrati. Perlomeno così la leggo. O mi piace leggerla, questo uno dei diritti (e dei piaceri) del lettore. ;)

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  3. ottimo pezzo, giusta intensità, nessun compiacimento, equilibrata durezza.
    leggo che è stato rifiutato da una rivista, i soliti coglioni di selezionatori.
    massimolegnani

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    1. Grazie Carlo, ormai dovrei saperlo e rassegnarmi a pochi fedeli lettori

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