La parata


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Potevo mai immaginare che Manlio De Grillis potesse trasformarsi, non dico in un sobillatore, ma quanto meno in un trascinatore di masse? Proviene da una famiglia morigerata: uno zio paterno docente di etica, la madre laureata in teologia comparata. Tutta gente più incline a elargire consigli a volte, ammettiamolo, perfino non richiesti. Manlio ci tiene all'etichetta e alla forma, è quel genere di personaggio per cui l'abito fa il monaco o per lo meno il dandy: livrea, fascia di taffetà a cingere la vita, scarpini ben lucidati e un farfallino vezzosamente in contrasto di tinta. Le antenne perfettamente arricciate all'avanti che, ogni mattina, si dice passi ore a mettere in piega. Qualcuno sostiene che questa sua presenza distinta, il portamento eretto e la capacità di eloquio non potessero che forgiarne un ruolo da leader. Ma che tipo di masse può raccogliere attorno a sé un Manlio De Grillis? Prendete me per esempio: ho il corpo di una chiocciola, mi sposto come in camper, il becco di un merlo - ma azzurro - e indosso una sorta di passamontagna perché ho il muso peloso di un bobtail. Potrete comprendere come la mia vita sociale sia ridotta al lumicino e come sia stata bullizzata fin dalla più tenera età. Ora non pensiate che io mi beva tutto quello che Manlio mi propina come suo sostegno insindacabile al diritto di integrazione delle minoranze, programma di inclusività eccetera eccetera, la annuso la sua smania di primeggiare. Una ricerca dice che ognuno di noi mente circa duecento volte al giorno. Poiché si tratta di dati statistici, se io di bugie ne dico quarantuno, le altre centocinquantanove del pacchetto in mia dotazione sono tutte appannaggio di Manlio. Ma perfino una disgraziata come me a furia di mandar giù bocconi amari anela, alla fine, a qualcuno che le copra le spalle e che faccia da portabandiera delle proprie istanze. Ho messo quindi in conto che delle trecentocinquantanove bugie quotidiane di Manlio, io me ne debba bere cinquantanove, le altre conto vadano a vantaggio del suo "popolo" cioè anche a mio favore. Certo qualcuno tra le sue fila questi conti non li ha fatti e crede a qualsiasi cosa esca in modo eccessivamente circostanziato dalle sue labbra: prendi l'essere quadrupede dotato di coda e tutto rosso che ora sta sfilando di fianco a me. Se solo capissi dove e quando ha lasciato la testa potrei farmi una certa idea delle sue motivazioni ma non è dato sapere. Lo chiamano Auris perché le orecchie, almeno quelle, non gli fanno difetto, quindi è sempre pronto ad ascoltare quanto dice il capopopolo. Di fronte me, accodati a Manlio, due pennuti blu che, forse per via del colore, millantano nobili origini, Angelica e Tancredi, girano con le corone, svolazzano a due palmi dal suolo, sono sempre agitati e questo conferisce loro un modo di fare decisamente poco distaccato e molto plebeo. Si angosciano per un nonnulla e questa loro eterna ansia alla lunga risulta essere contagiosa, tanto che da quando si è unito a noi Attilio il coniglio si comporta più da lepre, fa balzi inaspettati in avanti salvo poi ricongiungersi al resto del gruppo in un moto perpetuo che ricorda più il comportamento di un cane in gita con umani che quello dei suoi consimili. Solo il Bianconiglio di Alice sembra eguagliarlo in quanto a stress: "Presto che è tardi" potrebbe essere anche il suo moto. Un vecchio adagio dice :" quando il gatto non c'è, i topi ballano". I nostri tre sorcetti invece ballano in presenza del gatto o meglio di un "capoccione" felino che a loro dire è quanto rimarrebbe del gatto che, in un lontano passato, sequestrarono e che poi eliminarono perché la famiglia non intendeva pagarne il riscatto. Loro, chiaramente, le loro bugie le dicono tutte e seicento dato che la testa del gatto è, senza ombra di dubbio, di carta pesta e che sicuramente non sarebbero altrettanto spavaldi in presenza di un felino vivo e vegeto. A chiudere il manipolo dei fedelissimi Ovoide Gambalonga, due arti inferiori lunghi e sottili sormontati da un ovale che pare una saliera da ogni buco della quale sporge un braccio, per l'esattezza tre per parte, ognuno dei quali, in questo momento appare festante e sventolante una bandiera del color carta da zucchero che Manlio ha scelto per il nostro movimento. Procedo con la flemma che mi contraddistingue e, intanto che dirigiamo verso il Palazzo, sto qui a domandarmi se ho fatto la scelta giusta e soprattutto se abbiamo una causa comune per cui batterci. Ma è il nostro momento e gli altri sembrano decisamente più convinti. Ai lati e dietro il nostro gruppo di testa una forma plaudente ci accompagna gioiosa. E mentre Manlio si gode il suo momento di gloria, il petto in fuori, sventolando un bandierone e scandendo slogan che la folla amplifica io mi ripeto che l'importante è crederci.

 

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