Marta del Lago

Annalisa Parisii 







Marta del lago, così la chiamavano tutti, sembrava non avere un cognome, solo un'appartenenza. Non erano tante a quei tempi le case attorno al piccolo lago, la sua era una delle famiglie che da generazioni facevano parte della comunità. Marta sembrava essere il frutto di un sodalizio con le acque verdi cangianti a seconda della stagione, del giorno e dell'ora. E così gli occhi di Marta, due pozze profonde che, come i fondali del lago, erano in grado di riflettere i colori del bosco o farsi impenetrabili come la nebbia che spesso sorgeva dall'acqua avvolgendo i monti, le case e perfino i sorrisi della gente. Sembravano ricevuti in eredità dal lago come altri li riceverebbero dal padre o da una nonna. Aveva lineamenti regolari, capelli corvini spartiti al centro come si pensa che dio avesse fatto con le acque del Mar Rosso, li raccoglieva sulla nuca. C'era più di un uomo in paese che sognava di vederla spettinata dopo la furia della passione, di essere la causa del cedimento di quella compostezza che inevitabilmente creava distanza. Ma nonostante quei sogni la salutavano con un cenno del capo o con un buongiorno quasi ossequioso che lei ricambiava come si conviene a una persona educata, nessuno andava oltre. Aveva spalle larghe, indossava gonne ai polpacci e scarpe comode che non riuscivano a mortificare due caviglie sottili e i polpacci torniti. Marta portava camicette abbottonate fino al collo e nelle mezze stagioni golfini che fasciavano il piccolo seno e i fianchi stretti. Usava i pantaloni solo per salire in montagna dalla Lena, sua unica amica dai tempi della scuola elementare. Saliva lungo il sentiero che dalle rive del lago si inerpicava fino ai pascoli alti dove dalla tarda primavera al primo autunno la Lena faceva la malgara. Sembravano come il giorno e la notte Marta e Lena, che era bionda con il corpo un po' appesantito dalle tre gravidanze, le mane ruvide per il lavoro nei campi e alla malga, la pelle del viso scolpita e segnata dal vento e dal sole. Marta aveva gote rosate di chi ama stare all'aria aperta ma non per necessità e non mancava mai di sottolineare le labbra turgide con un rossetto rosso fiamma. Era tutto un rincorrersi di voci su quelle labbra così provocanti per una donna per il resto così discreta. Faceva la contabile nella segheria del padre. Qualcuno in paese sosteneva che a guardarla , così composta nelle movenze, così contenuta nei modi, pareva che la partita doppia fosse stata inventata per lei. E si domandava come fosse in realtà quella sua vita oltre le quattro mura di casa e quelle della segheria. Poiché non divideva né il rosario delle beghine, né le chiacchiere al mercato le lingue più acide si scioglievano a ricamare le più torride fantasie. Marta pareva non cogliere o forse il suo distacco dalla vita del paese la preservava dalle cattiverie. Ma poi venne il giorno in cui qualcuno la vide salire sul furgoncino di Walter, il marito della Lena e quel qualcuno sostenne di aver notato il sorriso con cui Marta aveva ricambiato il gesto di quella portiera aperta a offrire un passaggio. Iniziò un rincorrersi di voci, un sommarsi di particolari: la gonna che si alza per salire sul furgone, la coscia soda che fa capolino, lo sguardo dell'uomo su quella carne e la mano che vi si posa. Alcuni cominciarono a sostenere che dunque non era per la Lena che Marta faceva due ore di salita verso i pascoli, che allora era chiaro per chi si "pitturava" le labbra, che ogni volta che scendeva era spettinata, che alle acque chete non si deve mai credere, che la povera Lena era due volte tradita: dal marito e dall'amica, che proprio non se lo meritava con tutto il suo sgobbare tra vacche, sfalcio e figli. Che Walter sì che sapeva sciogliere anche il marmo. E più le lingue correvano, più il venticello si faceva tornado e qualcuno decise di andare a trovare la Lena anche se da anni nessuno si era più curato di lei se non d'inverno, quando le vacche erano a valle nella stalla e ci si scambiava un buongiorno con una mano nell'acquasantiera. La Lena rise a quelle insinuazioni, la bocca spalancata, le mani a battere sulle cosce robuste. Conosceva Walter e conosceva Marta da sempre, in loro riponeva il suo amore e la sua fiducia. Iniziò una sorta di accerchiamento che si trasformò in un vero e proprio assedio e alla fine perfino i tre protagonisti, pur sapendo che nulla era reale, iniziarono a domandarsi cosa avessero fatto o pensato perché tutto sembrasse così vero, tanto da avere acquisito il marchio dell'autenticità. Marta cominciò a trovare sconveniente il rossetto e finì col non salire più alla malga nella speranza di sedare le calunnie. Lena cominciò a sospettare l'assenza dell'amica. Walter pensò che in fondo qualche volta quella bellezza severa di Marta l'aveva davvero sognata ma non si capacitava di come Lena avesse potuto dare retta a quelle voci e allontanare Marta che era completamente innocente. Si crearono tensioni nella coppia e alla fine in paese giunse la voce che Lena era scesa a valle poco dopo ferragosto, con i figli, lasciandolo solo sui pascoli con le vacche. E non vi furono chiarimenti perché in fondo nessuno dei tre riteneva vi fosse nulla da dover chiarire. Quando a inizio settembre una forte nevicata anticipò il rientro delle mandrie, le tensioni tra Lena e Walter si sciolsero, non così per Marta a quel punto per tutti la rovina famiglie. Lena era stata amica, sorella, confidente, senza Lena sentiva di aver perso quel senso di appartenenza, di condivisione. Era fatta di poco la sua vita ma le apparve chiaro quanto quel poco rappresentasse per lei, si immalinconì. Ancora una volta fu il lago ad accogliere quel suo umore, quel suo dolore legato alla perdita. Passava il tempo libero passeggiando sulla riva con qualsiasi tempo, la sua compostezza andò perdendosi in smarrimento. Dicono di averla vista in un tardo pomeriggio di marzo camminare tra i ciottoli della riva, le scarpe tra le mani le calze arrotolate alle caviglie, i capelli sciolti, increspati dall'umidità, forse sarebbe bastato un gesto, forse una parola, ma se prima era la compostezza a creare la distanza ora lo era la trascuratezza. Tornò a chi apparteneva da sempre, come una piccola Ofelia, Marta del lago, si lasciò trasportare dalla corrente, le tasche piene di sassi, fu il canneto a vegliarne l'ultimo sonno







 

Commenti

  1. Un'illustrazione preconizzante, una narrazione malinconica, storie già sentite cui le chiacchiere danno forma disegnando invidia e cattiveria.
    E un lago a riprendersi quello che è suo riguadagnando silenzio.

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  2. C'è tanto materiale da scrivere un romanzo, ma ci vorrebbe coraggio. Il resto è come al solito, tutto scritto perfettino perfettino. Ciao.

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  3. il "perfettino" di cui sopra è la giusta simmetria con il ritratto, scrittura composta, lineare, vagamente malinconica, come lo sguardo di Marta.
    complimenti.
    massimolegnani
    (orearovescio.wp)

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    1. Però in privato mi ha fatto delle osservazioni giuste su come avrebbe potuto avere più respiro il racconto

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  4. Una vita troppo discreta e tranquilla; ha lasciato spazio a fantasie perfide e immaginazioni perverse

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