Erba dei muri

Erba dei muri

Da una crepa di muro dove il vento
portò pochi granelli di polvere
(null'altro occorse per la tua radice)
fiorisce la tua esile bellezza.

Accarezzo le tue foglioline,
tocco il tuo stelo delicato.
Non conosco il tuo nome
ma ti chiamo speranza

e a te vorrei piuttosto somigliare
che alla rosa o all'alloro - a te intrepida,
stupendamente viva
sul tuo sfondo d'arsura e di pietra.
 
 Margherita Guidacci


LaBokoff




La bambina che ero è giunta qui, dove ora si trovano queste ossa e questa carne violata, in un tardo pomeriggio di fine autunno, è stata la fine della mia vita, ora esisto, l'aria entra ed esce ad ogni respiro, potessi esalarne anche l'ultima molecola, porrei fine a tutto. Avevo quindici anni e credetemi, ora lo so, ritenevo di essere donna, ma avevo piccole ali con cui facevo brevi voli fuori dal nido. Il mio nido era caldo ed accogliente, mia madre mi ha ricevuta come un dono prezioso, mio padre con lo stupore che si deve ad una vita a cui doveva protezione e rispetto e che da te dipende, ma tutto il loro amore, che mi aveva regalato radici forti, non è bastato a proteggermi dall'orrore. Sono venuti in quella mattina di fine estate, erano armati e urlavano, sono entrati nella scuola dove avevo imparato a leggere e a scrivere, le chiavi che ti permettono di crescere e viaggiare, hanno ucciso l'insegnante e ci hanno rapite, trascinate come si fa con bestiame verso il macello, soppesate dagli sguardi, dalle mani, mi indignava la mancanza di rispetto ben oltre la paura che provavo. Poi ho capito che l'indignazione è un lusso che non potevo più permettermi, che apparteneva ad una vita che moriva quel giorno, che un mio stesso sguardo diretto poteva essere l'arma che mi avrebbe uccisa, ed ho abbassato gli occhi, sulle loro scarpe polverose, su quelle mani da ragazzi, che reggevano armi quando avevano l'età giusta per imparare i gesti dell'amore. Ci hanno picchiate e caricate su un camion e ci hanno portate via, le nostre lacrime impastavano la terra sollevata. Siamo passate di mano in mano, di banda in banda, ci hanno divise, ho visto alcune mie compagne morire per una lacrima, per una parola, per un singhiozzo. Conoscevo la bellezza, la grazia, la curiosità, la libera scelta,  ora sono schiava, nulla di me mi appartiene, nemmeno i miei pensieri. Mi rendo conto che questi mesi hanno fatto vacillare le mie certezze, accuso chi ho amato di non cercare soluzioni, di essersi arreso, di non venirmi a cercare perché è questo che loro mi sussurrano all'orecchio mentre usano il mio corpo. Non ho voce, nè parole adatte a raccontare l'abisso in cui sono caduta a causa di molte mani, di molte bocche, di molti sessi. Io che sognavo l'amore, che immaginavo il giorno in cui sarei sbocciata come la rosa e che avrei abbracciato il mio sposo odoroso di alloro, sandalo e tabacco, sogno di perdere questo grembo, questo corpo e di farmi aria e di disperdermi, chiedo solo che finisca. So che è giorno, poi che è notte, ma quanti ne siano trascorsi da quella mattina di fine estate me lo ha sussurrato agli occhi solo l'erba cresciuta nella crepa del muro della catapecchia in cui mi trovo, ha tenere foglie che raccontano di una stagione nuova e mi commuove pensare che la grazia della vita normale ha ancora posto nel mondo, che un nuovo ciclo è iniziato, che c'è vita oltre il dolore: è primavera dunque, il tempo della speranza ed a questa pianta nuova che vorrei somigliare.


per Alberto vedi qui perché

Commenti

  1. Un grande regalo per me, per tutti. Grazie.

    Volevo scrivere due parole sulla ragazza della foto, perché naturalmente l'avevo vista in faccia e anche fotografata, ma le parole le hai scritte tu molto meglio di come potessi fare io. Metto un link al post che punti qui.

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    1. @Alberto, hai fatto bene, il post di @amanda è terribile e struggente come la tua foto

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  2. Che bel connubio che avete creato!
    La foto parla da sola, in quella posa in quell'unica parte del corpo visibile c'è l'essenza di quella povera vita e il racconto di Amanda... ne esalta il dolore.
    Bravi entrambi.
    Francesca

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  3. Il tuo racconto è potente come e più della splendida foto di Alberto. Bravi!

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  4. Doloroso e straziante. La foto di Alberto immortala il dolore, il tuo racconto penetra in fondo all'anima

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  5. Ho pensato subito alle ragazze rapite in Nigeria da quei maledetti criminali. Bellissima la foto, di una terribile bellezza dolente.

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    1. Silvia, questo racconto era nato proprio allora, quando furono rapite le ragazze, la foto di Alberto mi ha fatto venire in mente il racconto che avevo scritto due anni fa sull'onda di quella emozione e stimolata dalla poesia che proprio Alberto mi aveva inviato per "a mille ce n'é"

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