Ovatta
Louise Michael Mendez |
La donna, ormai anziana, a patto che avesse mai attraversato una reale giovinezza, procedeva con passo caracollante verso la grande porta a vetri. Indossava un vecchio cappotto liso, ai piedi calzava un paio di galosce. Le porte automatiche si aprirono ancora una volta di fronte a lei. Il vento gelido di quel mattino odorava di neve, era solo una promessa, ma di quelle che tendono ad essere mantenute. All'interno l'aria, calda come in un grembo materno, le diede l'abituale senso di stordimento che finiva sempre per renderla ancora più nervosa. Procedeva con l'ovatta nelle orecchie verso il piccolo sportello a vetri, usava l'ombrello come bastone. Si sporse verso la feritoia e declinò le sue generalità, come se la cosa fosse necessaria, come se potesse esserci ancora, in un qualsiasi turno di Pronto Soccorso, un infermiere, addetto all'accettazione dei pazienti , che non la conoscesse. Tuttavia da entrambe le parti della spessa vetrata i ruoli furono rigorosamente rispettati, l'uomo in camice bianco domandava, l'anziana con le orecchie piene di ovatta rispondeva. Era l'accesso al pronto soccorso numero ventitré dall'inizio dell'anno, ed era solo febbraio. La donna lamentava dolore alle orecchie, o meglio un insopportabile dolore alle orecchie, l'infermiere non fece l'errore di minimizzare. Tutti loro ci erano caduti almeno una volta in quell'errore, nessuno di loro lo avrebbe mai più ripetuto. La donna con l'ovatta nelle orecchie, quando riteneva di non essere ascoltata, compresa nel suo dolore, era capace di rovesciare l'intero pronto soccorso. Un vomito livoroso di insulti si riversava su chiunque negasse la sua necessità per poi estendersi agli astanti e all'intero universo. Tutti sapevano che era di una consulenza psichiatrica che aveva bisogno. Tutti sapevano che la consulenza non avrebbe portato a nulla, quindi riempivano il formulario di accettazione, le assegnavano un codice bianco e la facevano accomodare in sala d'attesa, pregando che non arrivassero troppe emergenze, che non girasse il vento, che nessuno per disgrazia le rivolgesse la parola nella saletta in cui i pazienti sostavano in attesa del primo accesso agli ambulatori. La vecchia sbottonò il cappotto ma non lo sfilò perché la gravità della sintomatologia descritta avrebbe sicuramente indotto i medici a porla in cima alla lista. Era nata in un'epoca senza codici colorati e non credeva realmente che l'ultimo arrivato, per il solo fatto di essere bollato rosso, potesse scalzare il suo diritto ad una visita immediata. Pazientò dieci minuti, poi l'attesa le parve un intollerabile affronto. Iniziò così il suo cadenzato pellegrinaggio dalla seggiolina metallica allo sportello in cerca di notizie riguardanti i tempi previsti per la sua visita. Iniziò contemporaneamente la lunga prova di autocontrollo dell'infermiere allo sportello volta a non innescare la miccia di quella bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Generalmente , prima che la varia umanità sofferente che attendeva all'ingresso si rendesse conto che quella donna non poteva essere leader di nessuna protesta, l'anziana riusciva sempre a fomentare un motto di indignazione generale nei confronti del personale tutto dell'ospedale, sordo ai bisogni dei dolenti. Con la stessa facilità con cui sobillava la rivolta, la donna diventava, al prolungarsi dell'attesa, la fustigatrice dei suoi compagni di sventura, rei di precederla nell'accesso alla visita o di avere, a sua detta, atteggiamenti discriminatori o denigratori nei suoi confronti. Venne il suo turno, il medico di medicina generale, compilò l'ennesimo raccordo anamnestico e fece richiesta di consulenza specialistica. Molto più avanti nel lungo corridoio oltre la porta del pronto soccorso, un'infermiera vide comparire sul suo monitor il nome dell'anziana, levò lo sguardo al cielo e attese ancora un attimo prima di riferire all'otorino di turno le generalità della paziente per cui veniva richiesta una consulenza dal pronto soccorso. Pregò che nessuna epistassi, nessun trauma , nessuna laringe ostruita si frapponesse tra la donna con l'ovatta nelle orecchie e le parole e i gesti tranquillizzanti del medico di guardia affinché non avesse a dover placare nuovi conflitti in sala d'aspetto. L'ultima volta aveva dovuto consolare una povera donna in lacrime sopraffatta dalle angherie della donna che già sopraggiungeva caracollando lentamente dal fondo del corridoio. Si chinò verso la scrivania e sussurrò all'orecchio del giovane medico il nome. Uno sguardo terrorizzato si levò verso di lei che confermò mestamente. Oltre la grande vetrata iniziarono a cadere i primi fiocchi di neve.
Questo racconto è per Paolo Zardi
Bello questo racconto, alquanto angosciante se si pensa alla signora con l'ovatta, ma così rincuorante se si pensa alla pazienza, alla disponibilità, a un certo tipo di amore del personale del pronto soccorso.
RispondiEliminaA volte la pazienza di tutti i santi non basta
EliminaBello, e così "vero", anche se in realtà non lo fosse... La donna con l'ovatta avrebbe potuto essere tranquillamente uno dei mille personaggi di contorno nelle odissee ospedaliere che vivevo con mia mamma...
RispondiEliminaNei Pronto Soccorso di tutto il mondo alberga fauna simile alla Signora con l'ovatta, a volte ci vuole la pazienza di tutti i santi, ma si finisce con l'affezionarsi
EliminaDa stare alla larga dai P.S.!
RispondiEliminaQuello sempre e comunque
Eliminabrava, brava brava brava..... l'ho detto che sei brava???
RispondiEliminaGrazie, grazie, grazie ho mai detto che sei faziosa?
EliminaPare la cogmata di Ennio di cui t'ho parlato nel mio racconto del ricovero al PS
RispondiEliminate però voli parecchio più alto.
Grandioso, come sempre del resto...
RispondiEliminaEsagerata 😊
Eliminabrava brava... spesso l'umanità nel pronto soccorso si perde ed è un problema, sembra una sorta di spazio dove scannarsi, utenti che non sanno cosa fare a volte troppo richiedenti vero a volte non considerati, personale che corre da una parte all'altra perché poco e stanco con qualcuno che magari ha perso di vista il ruolo.
RispondiEliminaNel frattempo nelle grandi stanze del potere parlano d'altro e tagliano.
Proprio cosi
EliminaCome sempre ci regali perle!
RispondiEliminaMa questa sembra vita vera, di quelle che tocchi con mano se purtroppo ti capita di dover "bazzicare"un p.s. per un po' di tempo.
Ci sono personaggi fatti apposta per essere raccontati
EliminaPersonaggio e ambientazione descritti alla perfezione. Scappa un sorriso in mezzo a un luogo di dolore.
RispondiEliminaAha ahahah Che bellezza il tuo modo di raccontare !!!!
RispondiEliminaGrazie 😊
EliminaQuesta anziana mi ha così irritato che ho dovuto leggere il racconto due volte. Brava!
RispondiEliminaTremenda
EliminaNon sapevo conoscessi mia nonna... :-))
RispondiElimina😱
EliminaUn racconto molto bello, e poetico, nonostante l'argomento non lo sia affatto. Bel ritratto, mi è piaciuto molto! E ha richiamato molti ricordi - anche una zia di mio padre teneva sempre l'ovatta nelle orecchie, e nessuno sapeva perché. Complimenti!
RispondiElimina