Non avere paura


Kalaillustration 





Nel buio denso di afrori di corpi ammassati, di ansie compresse, attendevano.

Nel silenzio, rotto a tratti da gemiti, grida, pianti e risate nervose, improvvisamente una lama di luce scese a illuminare un volto, un unico volto tra i tanti accalcati in quella densa oscurità. Un ovale dai tratti delicati: la fronte bombata libera dai capelli che si trovavano ancora saldamente raccolti sulla nuca in una crocchia severa; due labbra sottili e serrate, attonite; un lungo collo leggermente ricurvo in avanti come ad accompagnare il capo proteso a ricevere una qualche confidenza. In quel buio pressoché assoluto, la lama di luce faceva apparire quel volto quasi fosse un opalescente cammeo intagliato in una goccia di pietra araba d'onice. Non era chiaro se l'immobilità della figura fosse da ascrivere a una inconcepibile calma o piuttosto a un timore assoluto tale da essere straniante rispetto all'intera situazione che la donna si trovava a vivere ormai da ore.

La lama di luce, dopo aver esitato a lungo su di lei si spostò così rapidamente in avanti da far precipitare, in un battito di ciglia, tutto nuovamente nella più densa oscurità. Tuttavia bastò affinché tutto riacquistasse forme e volumi misurabili dalla ragione: le braccia smisero di essere rami secchi protesi pronti a strappare gli abiti di dosso; le bocche si ricomposero e dai ghigni satanici, immaginati nelle tenebre fitte che li avevano avvolti fino a quel momento, si trasformarono negli specchi delle emozioni che tutta quella gente stava vivendo: attesa, tensione, paura, perfino curiosità. Un tizio stava addirittura sbadigliando proprio nel momento in cui il fascio luminoso allontanandosi dal volto della donna ne faceva un istantaneo protagonista assoluto. Molti si sorpresero di quel riflesso involontario tanto inconciliabile con la situazione allucinante che stavano vivendo, gli stomaci erano chiusi e il sonno impensabile. Un uomo non più giovane, il naso pronunciato, le gote che soggiacevano da troppo tempo alla forza di gravità, aveva scorto davanti a sé una roccia e vi aveva poggiato sopra la mano per ridurre la fatica di quella protratta oltre misura stazione eretta. L'impressione che dava tuttavia era che fosse affacciato al davanzale di una finestra a rimirare il paesaggio, un paesaggio denso come pece. Poco più avanti c'era un giovane, o quel che restava della levità dei suoi pochi anni, il viso era terreo – forse a causa della poca luce – non aveva un solo capello a proteggerne il cranio, un naso affilato fendeva lo spazio una volta occupato dalle guance.

La donna si scoprì a considerare da quanto tempo fosse lì quella povera creatura o cosa avesse dovuto attraversare prima di trovarsi lì dove tutti si trovavano ora. Fu scossa da un brivido poi sospirò per l'idea che un tempo infinito privo di partitura e incolore potesse srotolarsi di fronte a lei da quel preciso momento. O di quello che sarebbe invece successo quando quell'immobilità avesse avuto termine. La colse fulminea la consapevolezza che, almeno per quanto le fu concesso di vedere, era l'unica donna presente. Ma prima, prima che il terrore si impadronisse definitivamente di lei, un essere caritatevole, che nella poca luce aveva saputo cogliere la concatenazione dei suoi cupi pensieri, avvicinò le labbra al suo orecchio e sussurrò "Non aver paura". Le loro mani si strinsero. Il vuoto di parole si era infranto. Non erano più soli


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