Ernesto e il corallo

Kalaillustration 





Un pomeriggio, mentre passeggiava solo come sempre, Ernesto mi sentì guaire. Stavo sopra il ramo di un albero troppo alto per me ed ero pure malconcio. Mi ci avevano messo dei mocciosi teppisti dopo avermi trovato a rovistare tra le immondizie. Non mangiavo da tre giorni ed essendo giovane, non ero molto abile a procurarmi del cibo. Avevano creduto divertente punirmi in quella maniera, per le misere condizioni in cui già mi trovavo a vivere, dopo avermi usato come pallone da calcio per un po'. Gli avevo ringhiato contro mostrando i denti ma avevano subito capito che non sarei stato in grado di fare loro nulla visto che erano più grossi, in superiorità numerica e pure dotati di una cattiveria di cui io non disponevo. Ernesto, il lungo cappotto e il cappello fuori moda sentì dunque il mio lamento, mi scorse tra i rami spogliati da un vento autunnale inclemente e dopo avermi inutilmente spronato a trovare da solo la giusta via per scendere, chiamò i pompieri. Quando finalmente mi recuperarono, capirete anche voi che avevo ben poca fiducia nel genere umano e me la presi con il vigile del fuoco che si avvicinò con la scala. Quello doveva saperla lunga sugli animali impauriti perché mi irretì con dei deliziosi bocconcini e poiché ero stremato dalla fame, ebbe facilmente la meglio. Una volta sceso a terra le strade mia e di Ernesto si separarono e io fui portato al canile, lavato, visitato, disinfettato a una zampa ferita dai calci e infilato in una gabbia. Ernesto invece tornò a casa e conoscendone ora il carattere so che si girò e rigirò tutta la notte pensando al mio destino. Da qualche anno ormai era morta Teresa, la sua volpina ventenne, a cui aveva giurato eterna fedeltà. Non si sentiva pronto per un cucciolo e non in grado di affrontare altri dispiaceri. Le mie fortune furono: il suo buon cuore, la mia piccola taglia, il peso della sua solitudine. Il giorno dopo quindi Ernesto si presentò al canile e per fortuna il volontario di turno gli lesse in faccia che avrei fatto un buon affare e mi affidò a lui con mia immensa gratitudine. Iniziò così la nostra vita insieme. Ernesto mi chiamò Cosimo. Da appassionato lettore, mi spiegò che, avendomi trovato su un albero, non poteva esserci nome più appropriato per me. All'epoca era già pensionato quindi andavamo a spasso per ore tra i parchi, lo aspettavo fuori quando faceva la spesa e al mattino dividevamo il cornetto leggendo il giornale al bar. Per un botolo come me, abituato nella mia pur giovane vita a scorazzare sempre, trovare un umano che condivide la passione per la vita all'aria aperta è stata una manna. Quando usciamo mi spiega il mondo e quante cose sa, passerei ore ad ascoltare, a volte mi dimentico persino di fare la posta ai piccioni. Mi sono chiesto spesso come mai un'anima così bella e piena di interessi viva isolata, chiunque, mi dico, dovrebbe desiderare di avere amici come lui. Un giorno frugando nella tasca del suo pastrano, dove tiene sempre qualche crocchetta per me, trovai uno strano oggetto. Aveva un colore bellissimo tra il rosa, il rosso e l'arancio. Quando mi vide giocare sul tappeto con quello mi sgridò per la prima volta da quando vivevamo insieme, solitamente era così paziente: "Lascia subito il mio corallo!" Lo recuperò, lo pulì con estrema cautela dalla mia bava, lo osservò con attenzione per verificare che non avesse subito danni e lo rimise in tasca. Dopo un po' venne a scusarsi. Mi portò fuori e mi raccontò la sua storia. Quando era poco più che un ragazzo la compagnia per cui lavorava lo aveva spedito in una sede in mari lontani. Aveva vissuto per tre lunghi anni laggiù. Ci aveva messo un sacco di tempo ad abituarsi al nuovo ambiente, alla nostalgia di casa. Poi però era arrivato l'amore dolce e bellissimo e quel suo amore laggiù lavorava con il corallo. Mi spiegò che ora è vietato ma a quei tempi era ancora possibile e la popolazione indigena commerciava e viveva di quello oltre che di pesca. Quando il periodo di lavoro era finito, Ernesto non aveva saputo scegliere di rimanere e non aveva chiesto di farsi raggiungere. Entrambi sapevano di essere figli dei luoghi in cui erano nati delle culture che li avevano forgiati. Ricevette il corallo come dono d'addio. Lo tiene sempre in tasca e lo rigira nella mano destra come un amuleto, non se ne separa mai. Mi confessò che dopo qualche tempo, straziato dalla perdita e incapace di guardare oltre, era tornato laggiù risoluto a trasferirsi, ma il tempo era trascorso, la vita era continuata e aveva trovato un'altra persona nel cuore di chi aveva amato. Si era ritirato quindi in silenzio. Ancora oggi mentre passeggiamo tra i parchi talora lo sento distante. Io non so come sia l'oceano, non ho mai visto nemmeno un lago, ma se alzo gli occhi al cielo in quei momenti ci sono branchi di pesci rosso dorati che danzano e anche se piove lo vedo baciato dal sole.

 

Commenti

  1. Quando ricami tali fiabe innestandoti su una illustrazione ho l'impressione che anche tu non abbia, magari mai visto un romanzo o una poesia ma possiedi innata la grazia di convertire un disegno in uno sguardo al cielo, a sbirciare oltre e dietro a quei tratti colorati, e scoprire i pensieri e i sogni appena accennati da un pennarello magico, collegandoli tra loro come tanti sogni spezzati dal risveglio al mattino.

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  2. sempre piacevole leggere i tuoi racconti scaturiti da un'immagine.
    massimolegnani

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  3. Se fossi un editore, saresti certamente tra i miei autori...

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  4. Son due volte che commento e non trovo quel che ho scritto.
    Ti chiedevo quanto c'è della tua vita quotidiana in quel che scrivi, sei stimolata solo dal disegno oppure qualcosa arriva anche da fuori?

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    1. Ci sono stati racconti in cui c'erano esperienze quotidiane, persone incontrate per lavoro, flash colti al volo in treno o in bus. Poi ci sono, come in questo caso, solo voli pindarici della fantasia

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  5. Mi piace e mi tocca questa storia ascoltata da un cane e da lui raccontata con comprensione, affetto e senza giudizi. Come solo un cane sa fare.

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