L'espresso per Parigi

 





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L'espresso delle 15 e 38 per Parigi era partito con un ritardo quantificato, con sgomento, dal macchinista in ben nove minuti. Un'onta per un professionista dalla puntualità svizzera come Olivier Jutarde. Con i colleghi si vantava che, in tutta la sua lunga carriera professionale, mai nessun convoglio da lui condotto, fosse giunto a destinazione fuori orario se non per cause di forza maggiore. Ricordava ad esempio la volta in cui un carro si era incagliato sui binari e ci erano voluti la sua perizia e il suo occhio di falco per evitare che il treno deragliasse data la frenata necessaria a prevenire l'impatto. O l'altra volta in cui un passeggero era stato colpito da una crisi epilettica a bordo e si era dovuto attendere l'arrivo dei soccorsi prima di poter ripartire. Il macchinista stava cercando di recuperare il ritardo dovuto a quel cascamorto del capotreno Dubois che l'elegante Signora dal cappello a larga tesa, giunta in testa al binario quando lo scellerato aveva già il fischietto tra le labbra e invece di procedere, dando a quella ritardataria la dovuta lezione, aveva invece riaperto con un mezzo inchino la portiera dell'ultimo vagone e poco ci era mancato che si mettesse a farle da lacchè, dato che costei al seguito aveva non uno, ma due facchini carichi di bagagli:borse, valigie, cappelliere e financo un baule, tanto che  nove minuti si erano resi necessari a caricare il bagaglio di Madame mentre lei si incipriava il naso e Olivier rischiava di esplodere per la troppa pressione che l'osservare le lancette dell'orologio correre avanti gli generava. Ora mentre Madame attraversava l'intero convoglio, diretta alla carrozza numero due, qualcuno sprofondava nella lettera, qualcun altro nel sonno perché nulla culla più del procedere sferragliante di un treno e in vero, in tutto quel trambusto, una sola persona si era resa conto dell'unico fatto che avrebbe dovuto mettere a dura prova le coronarie di Olivier Jutarde se solo avesse saputo. Quell'unica persona, che viaggiava in compagnia della consorte, tutta assorta a vezzeggiare il cucciolo che testé la sorella le aveva regalato per il compleanno, osservava - la bocca spalancata per lo stupore - un piede che ciondolava davanti al suo finestrino. Il piede apparteneva a Dominique Labotine. Ora voi sapete che Labotine stava viaggiando sul tetto del treno, la tuba blu tra le mani e le lunghe chiome, color del grano maturo turbinanti al vento, ma l'uomo al di qua del finestrino no e si interrogava sulla provenienza di quel piede che calza a un elegante mocassino. Non vi sia dato di pensare che Labotine vuaggiasse in siffatta maniera, non scevra di rischi, allo scopo di eludere il pagamento del biglietto: sareste in errore. Dominique Labotine era un uomo che aveva molto viaggiato, un uomo di cultura e timorato di Dio che mai avrebbe violato le regole. Tuttavia in uno dei suoi lunghi viaggi era giunto fino in India e oltre ad aver attraversato il Punjab a tratti sul dorso di un elefante, un giorno dopo aver acquistato un regolare biglietto ferroviario , si era ritrovato suo malgrado a viaggiare sul tetto del vagone con altre cinquanta persone anch'esse legittimate a farlo dall'acquisto del biglietto e mentre lui, seccato, cercava qualcuno che gli rendesse spiegazioni dell'incresciosa situazione, gli altri non sembravano per nulla inferociti dall'essere costrette a viaggiare in quelle condizioni. Poco dopo che, rassegnato, si era seduto sulla lamiera arroventata dal sole, una donna, per giunta, gli aveva posato in grembo una coppia di polli per nulla profumati, le zampe legate insieme che, invece di prendersela con la donna, litigavano tra di loro e smettevano di farlo solo per accanirsi beccando le mani del povero Dominique reo solo di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Tuttavia quel modo di viaggiare con il vento tra i capelli, senza nessun filtro tra lui e il paesaggio gli era entrato nel sangue e ora, a distanza di qualche anno, non aveva resistito a ripetere l'esperienza godendosi, questa volta in beata solitudine e senza volatili molesti la dolcezza della campagna francese. 

Commenti

  1. Un bel pout pourri di situazioni, esperienze, stili di vita e di viaggio, memorie e istantanee: dal deragliamento accidentale alla filosofia della puntualità, dalla geografia dei trasporti indiana all'estetica della contemplazione paesaggistica, dal trasporto di volatili in coercizione al fascino della Signora ritardataria.. ma un dubbio alla fine, nonostante il frenetico vorticare di sensazioni, rimane impresso e interrogativo. Qual genere di cucciolo, la moglie dell'unica persona distratta da un mocassino penzoloni, stava appunto cucciolando?

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    1. Si vede nell'illustrazione, un cagnolino 🐶

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    2. Ecco!! Quando l'insieme fagocita il dettaglio!!! 😉

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  2. Si, proprio bello questo post e molto bella è l'illustrazione che hai scelto. Mi hai fatto venire in mente quanti viaggi ho fatto in Francia, ma anche paesi Europei, negli anni passati. Quanti pensieri, riflessioni, immagini di paesaggi visti dal treno, quante storie...è stato un piacere leggere il post.
    Un salutone e buon primo maggio

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    1. Non sono io he ho scelto l'illustrazione ma è lei che ha scelto me per farsi raccontare, da un po', quasi sempre prendo una illustrazione che mi ispira e la racconto a modo mio. Grazie e buon primo maggio anche a te

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  3. Come al solito, inutile ripetersi.
    Talvolta si possono trovare improbabili e inaspettate relazioni tra i viaggiatori di un treno, ma non è cosa da tutti.

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