Inverno, notte

Annalisa Parisii





Lorelei Jackson malediceva di essersi attardata a parlare con la madre di Steve, in verità sperava che le quattro chiacchiere spingessero la donna a saldare le ultime due lezioni. I genitori di Steve erano stati sempre puntuali nel pagamento e questo era uno dei motivi per cui Lorelei, una volta chiusa la scuola di musica, dove aveva insegnato pianoforte e solfeggio fino all'anno precedente, aveva assecondato la loro richiesta di continuare a dare al ragazzo lezioni private nonostante avesse trovato un posto per sedici ore settimanali nella scuola di un altro quartiere. Ora però erano due settimane che non pagavano quanto pattuito. Farne parola le creava imbarazzo. La prima volta aveva pensato a una dimenticanza, ma ora la storia si era ripetuta e farsi aggiornare sulle condizioni meteo di tutti gli Stati dell'unione, le era servito solo a voltare l'angolo appena in tempo per vedere i fanalini di coda del tram inghiottiti dal buio. La notte calava così repentina in quella parte dell'anno che uno il crepuscolo poteva pensare di averlo solo immaginato. In compenso la luna piena superava in nitore tutte le luci che andavano via via accendendosi nelle case lì intorno, si intuiva anche il bagliore di qualche caminetto. Nei due giorni precedenti la neve si era alternata ad un vento gelido da nord, i pesanti stivali che previdentemente aveva indossato producevano tonfi crepitanti che smorzavano l'ovattato silenzio tipico del paesaggio innevato. L'aria si andava ora facendo più umida e gli alberi si rivestivano di trine. Lorelei sollevò il cappuccio del cappotto rosso e si diresse verso il bar di Tom. Tom per quasi venti anni aveva fatto il tranviere ma la sua passione era sempre stata quella di mettere su uno di quei locali dove i clienti potessero sentirsi in una specie di succursale di casa. Così quando aveva saputo che dismettevano alcune vecchie carrozze della linea 43, che doveva essere ammodernata, aveva chiesto di poterne comprare una dopo aver ottenuto il permesso di posteggiarla in una piccola area che aveva acquisito dopo la demolizione di una rimessa. Una foschia incominciava lentamente a calare pur senza impedire di godersi il cielo stellato. I vetri appannati sul lato dove Tom aveva posizionato il bancone sembrarono a Lorelei un miraggio, lasciando intuire il calore che regnava all'interno del locale. Sul retro della carrozza erano stati posizionati alcuni piccoli tavolini e Lorelei distinse chiaramente le sagome dei tre avventori che avevano preso posto sulla panca di coda. Il locale riusciva a ospitare anche un pianoforte verticale su uno dei lati lunghi. Lorelei spesso vi aveva suonato quando Tom aveva appena aperto il locale e la scuola, chiudendo senza troppo preavviso, l'aveva lasciata senza stipendio e con un affitto da pagare. Talvolta Lorelei vi suonava ancora su richiesta di Tom in occasione di qualche festicciola organizzata nel locale, non fosse altro per gratitudine nei suoi confronti e poi quelle feste le consentivano di esaudire qualche desiderio oltre le normali necessità. Salì i due scalini ed entrò, le guance le avvamparono, per un attimo le sembrò che il calore fosse perfino eccessivo rispetto al rigore dell'esterno. Tom la accolse con un sorriso e si affrettò a prepararle un punch.

«Confessa che ti mancavo»

«Tu no, ma per uno dei tuoi punch farei carte false, lo sai» lo schernì Lorelei.

Per togliere entrambi dall'imbarazzo di tutte le cose mai dette che aleggiavano tra loro, Lorelei si aprì il cappotto, sfilò i guanti e sollevò il coperchio del piano buttò giù il punch caldo in due sorsi, l'alcool dolciastro si diffuse nel corpo fino alle lunghe dita intorpidite dal freddo e lei iniziò a suonare

«Vi regalo musica per i venti minuti che mancano al prossimo tram» annunciò con un tono di voce forse più forte e stridulo del necessario. Tom che avrebbe voluto tenerla lì almeno tutta la sera, la avvisò comunque poco prima dell'orario della corsa. Lorelei chiuse la tastiera come se si fosse svegliata dopo uno di quei sonni appiccicosi che precedono la sveglia dopo una notte insonne. Chiuse in cappotto, uscì di corsa dopo un breve applauso dei tre avventori. Il barista disappannò il vetro e seguì la sua sagoma rossa lungo il binario ancora deserto del tram. Una donna con una mantella scura la precedeva lungo i binari, un uomo sopraggiunto dietro di lei gridò

 «Susan, non puoi andartene così». 

Lorelei ricordò che quello era il nome della madre di Steve, la donna non aveva con sé nessun bagaglio. Lorelei si voltò solo un attimo in tempo per vedere che effettivamente si trattava del padre del suo alunno. Una lacrima gli si stava gelando tra le ciglia. Imbarazzata si voltò verso il finestrino disappannato da Tom che ancora la seguiva con lo sguardo, lo salutò forse con troppa energia. La donna davanti a lei, che solo mezz'ora prima sembrava non avere altro pensiero che le temperature minime previste per il giorno dopo, non si scompose e procedette verso la fermata del tram il cui sferragliare ne preannunciava l'imminente arrivo

Commenti

  1. di fronte a questa pagina viene innanzitutto da chiedersi se sia nato prima l'uovo o la gallina: c'è una tale aderenza tra la parola e la pennellata che è impossibile scinderle.
    La spiegazione potrebbe essere che "Annalisa Parisii" sia tu, che hai dipinto e scritto questa scena partendo da un'unica ispirazione. In alternativa potreste essere cugine di secondo grado con due vene artistiche differenti e un episodio di vita in comune che ha segnato l'ispirazione di entrambe.
    comunque sia, è evidente in entrambe l'influsso americano (Hopper e Carver?) nell'atmosfera rarefatta di provincia nordamericana e nella precisione dei dettagli, anzi essenzialità dei particolari e precisione dei dettagli. Prima di leggere mi aveva colpito il tram del quadro palesemente fuori asse rispetto alle rotaie, una stramberia, mi ero detto, una licenza artistica per non impallare il centro del dipinto con la sagoma ingombrante della vettura. Poi ho letto e tutto è andato a posto ma è sorta prepotente la domanda sulla gallina.
    massimolegnani
    (dimenticavo, il racconto mi è molto piaciuto: pochi elementi eppure non mancava nulla alla storia (e al quadro))

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    1. Innanzitutto grazie, poi rispondo facilmente e volentieri al quesito. Non sono Annalisa e non l'ho mai vista se non in una fito su Instagram. Come sempre avviene, da qualche anno a questa parte, vedo un'opera, su Instagram, che mi ispira, chiedo il permesso e inizio a ricamarci su un racconto. Poi a volte questo comporta che nascano splendide collaborazioni e che si scoprano affinità elettive, ma tutto funziona così

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  2. Desideravo continuasse…
    Bravissima, come sempre
    …e buon anno!

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  3. Fine aperta, possiamo immaginare il seguito della storia a nostro piacimento. Grazie di far lavorare la nostra fantasia

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    1. Sempre grazie a voi, è sempre più difficile trovare qualcuno che dedichi tempo a leggere piccole storie come le mie

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  4. Ciao, invece le piccole storie come le tue, ci aiutano a pensare..ci aprono un mondo fantastico dove tu può accadere

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    1. Chiunque tu sia, grazie è bello essere letti e apprezzati

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  5. Qualcosa di pazzesco.. che induce sempre anche me - come sottolinea l'ottimo Massimo - a cercare di capire come il racconto possa essere partorito da un minimo disegno, come pochi tratti incorporino storie e controstorie, sogni e affetti, ambizioni e gelo, dell'anima e della stagione.. eppure, Amanda cara, riesci a cogliere, ma non solo, a creare, moltipilicare, sommare incredulità, fiaba, storia e storie, e farci calare in scenari spettacolari che rendono l'illustrazione viva, pulsante, reale, vibrante di vita.

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