Incipit: I jeans di Bruce Springsteen e altri sogni americani





Questo Alice's Restaurant non è lo stesso della canzone e del film, no. Però potrebbe esserlo.
È una casa di legno con una terrazza tutto intorno, la bandiera americana sul pennone e una sfilza di moto parcheggiate davanti. Sullo sfondo, pini e sequoie. Qui si mangiano hamburger per appetiti robusti, si ascoltano concerti folk e si incontrano, oltre ai motociclisti per cui il locale è famoso, anziani ex hippy che potrebbero essere i proprietari di qualche villa nascosta fra gli alberi, oppure i tuttofare che lavorano per quegli stessi miliardari. Spesso le due categorie non si distinguono, almeno finché rimangono all'interno del locale: i capelli sono sempre bianchi e un po' lunghi, l'abbigliamento casual con qualche vaga reminiscenza di un passato ribelle. Una volta fuori, però, la differenza emerge nitida, sotto forma di automobile: i miliardari salgono sulle loro decappotabili sportive, i tuttofare sui loro pick-up, poi entrambi escono dal parcheggio e si immettono su Skyline Boulevard, la strada dal nome meritatamente evocativo lungo la quale, al numero 17288, sorge il ristorante di Alice.



Silvia Pareschi. I jeans di Bruce Springsteen e altri sogni americani. Giunti


Chi legge Silvia su Nine hours of separation, ci troverà semplicemente Silvia, la sua capacità di contastorie, o storytelling che dir si voglia, ai frequentatori del suo blog è ben nota. Anche gran parte degli stravaganti personaggi che ci ha regalato negli anni di peregrinazioni su e giù tra laghi padani e nebbie californiane ai suoi affezionatissimi lettori sono noti: Her Royal Majesty, Empress of San Francisco, José I, The Widow Norton, decana delle Drag Queens; Ramon la guida delle visite al palazzo del porno; Jun-san la "donna che cammina lontano" una monaca buddista giapponese; la compagna di viaggio Camilla; le fracassone vicine cheeerleader; qualche   apparizione  dell'immancabile Mr K. Restano intatti l'ironia, l'occhio disincantato con cui  Silvia ama infrangere il "Sogno americano". Tuttavia, se volete un saggio di cosa Silvia sa fare come scrittrice, leggete Katrina, lì, in quell'incubo  in cui l'assurdo, l'orrore, lo sconforto, il senso di abbandono vanno crescendo come le acque putride trascinate dall'uragano a far emergere le miserie della "più grande Nazione del mondo", Silvia Pareschi dimostra davvero che sa usare al meglio anche le sue parole oltre a saperci regalare splendidamente quelle degli altri.

Commenti

  1. Grazie Amanda! E che sia la volta buona che riusciamo a incontrarci! :-)

    RispondiElimina
  2. Ah, Silvia Pareschi è così giovane?!
    M'ero fatto l'idea che fosse più attempata

    RispondiElimina
  3. L'hai presentata alla perfezione, sottoscrivo ogni tua parola. E adesso aspetto le parole di Silvia ...

    RispondiElimina
  4. Non avrei saputo recensirla meglio!

    RispondiElimina
  5. Grande Amanda! Io, come al solito, ho un po' di sacro terrore prima di iniziare libri di scrittori che conosco e che considero amici. E se poi il libro non dovesse piacermi? Il tuo post mi rassicura. Comunque, Silvia Pareschi dal vivo è grandiosa. E' come leggere il suo blog, con l'aggiunta delle sue simpatiche smorfie.

    RispondiElimina
  6. Gli States sono così.. sembrano a volte un mondo perfetto ma sotto nascondono situazioni di disuguaglianza immensa.
    un saluto
    d

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari