Cara Amanda, per me il tuo puntuale ricordo del 2 agosto è una confortante certezza, come quella dei tuoi auguri per il compleanno. Quest'anno sono lontano da Bologna, ospite di mio fratello a Tenerife (dove ha preso casa di recente), ma la partecipazione col cuore è la stessa. Lo è per tutti i bolognesi, come si può capire dai messaggi sui social network.
Ce n'è uno particolarmente significativo, pubblicato su Facebook della mia amica Silvana Indri. Spero ti faccia piacere se lo trascrivo qui di seguito:
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Sono di Bologna, questa è la mia città.
Io dovevo essere in stazione, quella mattina di 38 anni fa.
Era l’anno della mia maturità, ero rimasta in città per sostenere una mia amica che aveva gli orali alla fine di luglio.
Esami ok, la mia amica decide di raggiungere i genitori nella casa di montagna e mi chiede di accompagnarla alla stazione: 2 agosto alle 10.30.
Decidiamo di trovarci in centro un po’ prima per scambiarci i saluti, fare due chiacchere e prenderci un gelato in una caldissima mattina.
La gelateria in cui decidiamo di sederci a fare due chiacchere e ristorarci è a 10 minuti a piedi dalla stazione, non c’è fretta.
E mentre siamo lì con le valigie, lontane da ogni pensiero che non sia vacanziero o di soddisfazione per gli esami appena passati ci accorgiamo di essere in ritardo; velocissime paghiamo il conto e ci mettiamo a correre per arrivare in stazione quando sentiamo un boato infernale, vicino vicinissimo.
Per un lunghissimo istante ci siamo paralizzate, il mondo si è paralizzato.
Ci siamo guardate attorno e, in un istante, tutti hanno cominciato a chiedersi e a commentare cosa fosse successo, cosa avesse provocato il fragore.
Abbiamo sentito il clamore del silenzio, il grido delle ambulanze, lo stridio di un autobus, dai vetri pudicamente ricoperti con lenzuola bianche, trasformato in carro funebre, il pianto degli sconosciuti vicini a noi, le urla disperate dei soccoritori, il lamento smorzato dei feriti.
E come l’onda d’urto porta con sè detriti, così l’onda delle informazioni ha iniziato ad arrivare con tutte le teorie possibili.
Una bombola di gas, un crollo, una bomba.
E lì, in quel preciso istante, ho saputo che era una bomba.
Perchè noi bolognesi, abbiamo sperato che fosse una bombola di gas espolosa, un crollo di qualcosa, ma in cuor nostro lo abbiamo saputo dal primo momento che quella era una bomba.
Lo sapevamo perchè conoscevamo la strage dell’Italicus e, anche quella di Ustica.
Lo sapevamo perchè queste vibrazioni le abbiamo assorbite, assimilate attraverso le ferite dell’anima dove i detriti, la polvere nera, i calcinacci si sono depositati.
Lo sapevamo perchè avevamo coscienza della nostra vulnerabilità, della nostra angoscia ogni volta che percorrevamo la tratta Bologna – Firenze.
Lo sapevamo perchè siamo la città “dei morti per sogni davanti al tuo santo Petonio”.
Ed è per questo che, come ogni anno, da trentotto anni oggi sarò alla stazione.
Pensa che il libro di Binet (che non mi è piacciuto) parla anche di quel giorno alla stazione. Probabilmente voleva farne un omaggio sincero, ma non ne sono tanto sicura. Noi non dimenticheremo, lui - forse- sì. Grazie di queste parole.
ricordo quei giorni con sgomento e il 2 agosto resta una data appuntata alla memoria e alla coscienza. dà il senso al continuare a fare, a sperare e a di-sperare nella palude di indifferenza. ho fatto l'università a bologna e la stazione era la mia seconda casa. non ho avuto il coraggio di tornarci per molto tempo.
Cara Amanda,
RispondiEliminaper me il tuo puntuale ricordo del 2 agosto è una confortante certezza, come quella dei tuoi auguri per il compleanno.
Quest'anno sono lontano da Bologna, ospite di mio fratello a Tenerife (dove ha preso casa di recente), ma la partecipazione col cuore è la stessa.
Lo è per tutti i bolognesi, come si può capire dai messaggi sui social network.
Ce n'è uno particolarmente significativo, pubblicato su Facebook della mia amica Silvana Indri.
Spero ti faccia piacere se lo trascrivo qui di seguito:
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Sono di Bologna, questa è la mia città.
Io dovevo essere in stazione, quella mattina di 38 anni fa.
Era l’anno della mia maturità, ero rimasta in città per sostenere una mia amica che aveva gli orali alla fine di luglio.
Esami ok, la mia amica decide di raggiungere i genitori nella casa di montagna e mi chiede di accompagnarla alla stazione: 2 agosto alle 10.30.
Decidiamo di trovarci in centro un po’ prima per scambiarci i saluti, fare due chiacchere e prenderci un gelato in una caldissima mattina.
La gelateria in cui decidiamo di sederci a fare due chiacchere e ristorarci è a 10 minuti a piedi dalla stazione, non c’è fretta.
E mentre siamo lì con le valigie, lontane da ogni pensiero che non sia vacanziero o di soddisfazione per gli esami appena passati ci accorgiamo di essere in ritardo; velocissime paghiamo il conto e ci mettiamo a correre per arrivare in stazione quando sentiamo un boato infernale, vicino vicinissimo.
Per un lunghissimo istante ci siamo paralizzate, il mondo si è paralizzato.
Ci siamo guardate attorno e, in un istante, tutti hanno cominciato a chiedersi e a commentare cosa fosse successo, cosa avesse provocato il fragore.
Abbiamo sentito il clamore del silenzio, il grido delle ambulanze, lo stridio di un autobus, dai vetri pudicamente ricoperti con lenzuola bianche, trasformato in carro funebre, il pianto degli sconosciuti vicini a noi, le urla disperate dei soccoritori, il lamento smorzato dei feriti.
E come l’onda d’urto porta con sè detriti, così l’onda delle informazioni ha iniziato ad arrivare con tutte le teorie possibili.
Una bombola di gas, un crollo, una bomba.
E lì, in quel preciso istante, ho saputo che era una bomba.
Perchè noi bolognesi, abbiamo sperato che fosse una bombola di gas espolosa, un crollo di qualcosa, ma in cuor nostro lo abbiamo saputo dal primo momento che quella era una bomba.
Lo sapevamo perchè conoscevamo la strage dell’Italicus e, anche quella di Ustica.
Lo sapevamo perchè queste vibrazioni le abbiamo assorbite, assimilate attraverso le ferite dell’anima dove i detriti, la polvere nera, i calcinacci si sono depositati.
Lo sapevamo perchè avevamo coscienza della nostra vulnerabilità, della nostra angoscia ogni volta che percorrevamo la tratta Bologna – Firenze.
Lo sapevamo perchè siamo la città “dei morti per sogni davanti al tuo santo Petonio”.
Ed è per questo che, come ogni anno, da trentotto anni oggi sarò alla stazione.
Si', davvero. Grazie Amanda e grazie Franz.
RispondiEliminaPensa che il libro di Binet (che non mi è piacciuto) parla anche di quel giorno alla stazione. Probabilmente voleva farne un omaggio sincero, ma non ne sono tanto sicura. Noi non dimenticheremo, lui - forse- sì.
RispondiEliminaGrazie di queste parole.
Condivido in pieno il tuo pensiero. Mai!
RispondiEliminaÈ stato strano oggi non essere lì e pensarci (perché non riesco a non farlo) da Napoli.
RispondiEliminaricordo quei giorni con sgomento e il 2 agosto resta una data appuntata alla memoria e alla coscienza. dà il senso al continuare a fare, a sperare e a di-sperare nella palude di indifferenza.
RispondiEliminaho fatto l'università a bologna e la stazione era la mia seconda casa.
non ho avuto il coraggio di tornarci per molto tempo.