Il carrello di Alvise



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Il Signor Alvise aveva ottantasei anni e non poniamoci nell'ottica di stabilire quanti se ne sentisse perché potevano esserci giorni in cui, per il cigolio delle giunture al levarsi dal letto, poteva attribuirsene quanti Ötzi dopo il recupero dal ghiacciaio, ma ce n'erano altri in cui, pur essendo per vetustà assimilabile al David di Michelangelo, si sentiva prestante proprio come quello. 
Piuttosto la stima dovrebbere essere fatta sugli anni che supponeva gli toccassero ancora da vivere e in base a quel parametro era ancora un bimbetto. Dal momento che il Signor Alvise era uno che contava di goderseli tutti e con entusiasmo, perché se la vita non concedeva sconti, lui non ne concedeva alla vita e assaporava ancora tutto con voluttà. Era stato un impiegato scrupoloso, un marito amoroso e un padre premuroso. Quindi, pur essendo per natura alquanto ansioso, una volta iniziata la sua nuova vita, dopo la pensione, si era sentito in pace con se stesso perché i suoi doveri li aveva assolti tutti e con passione. Amava passeggiare all'aria aperta e trovava ogni scusa per uscire da casa a camminare: fare la spesa, raccogliere le erbe di campo, pagare le bollette, recuperare le ricette dal medico. Praticamente si offriva volontario a svolgere queste incombenze non solo per i familiari, ma anche per gli amici o i semplici vicini. Questo a patto che che tutto fosse raggiungibile a piedi perché non essendo mai stato un provetto guidatore aveva deciso di non rinnovare più la patente, con grande sollievo della moglie e dei figli che avevano sempre vissuto con grande apprensione le sue prestazioni motoristiche. Certo questo aveva comportato che si potessero recare in vacanza solo con gruppi organizzati o che un figlio di offrisse volontario per andare ad accompagnarli e a riprenderli dopo le consuete tre settimane nella solita pensione di Riccione. La cosa tuttavia non pesava a nessuno, perché durante l'anno era il Signor Alvise a essere in credito di favori. Sia in estate che in inverno usciva di casa di buon'ora. Indossava un cappellino da baseball in estate che veniva sostituito con uno di feltro nella stagione fredda per proteggere dai raggi solari la testa calva dalla pelle ormai assottigliata dagli anni o, come sosteneva lui, dai troppi pensieri. Col tempo si era trasformato in un animale a sangue freddo, quindi portava un gilet con lo scollo a V ( che solo nelle giornate più torride era di cotone) sopra la camicia. 
Aveva un punto vita ormai risalito appena sotto le ascelle, di modo che i pantaloni vestivano sempre ad altezza salvagente. Sfoggiava un vezzoso farfallino che solitamente era dello stesso colore del cappellino, indossava regolarmente scarpe stringate perfino quando andava a raccogliere le erbe di campo, unica concessione era che in quell'unico caso avevano una suola a carrarmato perché 
ruzzolare sul terreno umido a ottantasei anni era un lusso che sapeva di non potersi permettere. Girava immancabilmente con il suo carrellino della spesa. A volte lo riempiva semplicemente con fiori di campo da regalare alla sua consorte, in quel caso spesso era accompagnato da un corteo di farfalle che non vi stupirà sapere erano anch'esse di nuance in pendant col cappellino.




Commenti

  1. "Si era sentito in pace con sé stesso perché i suoi doveri li aveva assolti tutti e con passione“: penso che sia quello che ognuno di noi debba augurarsi per sé.
    Buon fine settimana

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