Vita ordinaria di Ireneo Ferrari


Tommaso D'Incalci





Ireneo Ferrari era un uomo ordinario, con un lavoro ordinario e un modo di vestire ordinario. Se si chiamava Ireneo ciò era dovuto esclusivamente alla scarsa fantasia dei genitori che, non sapendo decidere un nome per lui, erano ricorsi al vecchio sistema del calendario ed essendo lui nato il 28 giugno lo avevano chiamato così: solo un giorno e avrebbe potuto ordinariamente chiamarsi Pietro o Paolo Ferrari. 
Ireneo Ferrari era un impiegato scrupoloso 
e attento, tuttavia non amava pendere dalle labbra del suo direttore e per questo motivo non aveva fatto una grande carriera, ma non era persona da votarsi anima e corpo al lavoro, quindi non viveva la cosa con frustrazione. Usciva di casa puntuale ogni mattina, prendeva il 23 barrato indossando la sua divisa da impiegato (ancora riteneva 
che giacca e cravatta fossero doverosi 
quando si lavorava con il pubblico), arrivava in ufficio, accendeva il computer, vagliava la posta e poi quando giungeva l'orario di apertura degli sportelli dedicava la sua attenzione alle pratiche dei clienti che si avvicendano davanti a lui i quali entravano pieni di pregiudizi sulla pubblica amministrazione e uscivano soddisfatti e ricreduti. Allo scoccare del suo orario, 
Ireneo, che evadeva molte più pratiche dei 
suoi colleghi che macinavano straordinari su straordinari, tuttavia usciva e tornava alla fermata del 23 barrato e appena saliva 
allentava la cravatta e, che avesse posto a sedere o meno, estraeva dalla sua cartella un libro e da lì iniziava la sua seconda vita. Ireneo infatti era un divoratore di libri, non c'era genere letterario che non lo affascinasse thriller, noir, romanzi, racconti realismo magico latino-americano, un 
pizzico di fantasy e distopia, i classici. Lui nei libri ci si tuffava perché erano in grado di rendere meno vuota, più colorata, emozionante e avvincente la sua ordinaria 
esistenza. Scendendo dal 23 barrato aveva rischiato più volte di cocciare contro un palo o contro qualche passante immerso nello smartphone, solo che lui aveva gli occhi lì  incollati su un libro rigorosamente cartaceo e, arrivato a casa,
chiudeva le porte al mondo per aprirle su altri mondi e ad altre realtà fino al giorno seguente. Ireneo Ferrari, che ora aveva mezzo secolo tondo, era stato sposato per 
21 anni e dopo il fallimento del matrimonio con una donna ordinaria tanto quanto lui con cui condivideva la passione della lettura oltre che per il teatro e per la buona tavola poiché lei era una discreta anche se 
poco fantasiosa cuoca, si era fatto frugale e 
ormai si dedicava molto poco al teatro, si faceva bastare per vivere ciò che i libri erano in grado di evocare. Una vita quasi monastica la sua. Un bel giorno pensò che gli sarebbe piaciuto scrivere: prese carta e 
penna e si sedette a tavolino, ma per quanto scrivesse e anche con una certa ricercatezza di stile, che di pagina in pagina andava affinando, che gli derivava dalla sua lunga frequentazione con le migliori penne della letteratura internazionale, Ireneo puntualmente a rileggersi rimaneva fortemente deluso. Non che avesse dato per scontato che saper leggere significasse sapere anche scrivere, ma quello che più lo colpiva era il fatto che le sue parole 
rimanevano lì sulla carta incapaci di evocare alcunché, né i caratteri dei personaggi, né le loro emozioni, anche i paesaggi rimanevano una serie di aggettivi 
senza colori, né le luci. Le parole erano 
gusci vuoti senza spessore. Poi un giorno, mentre come al solito saliva leggendo sul tram, urtò una giovane donna, alzò gli occhi per scusarsi e all'improvviso fu colpito dalla stanchezza di quegli occhi incorniciati da un volto poco più che adolescente, il corpo 
della donna era incurvato in se stesso come quello di una vecchia. Chiuse il libro e per tutto il viaggio la osservò e provò a immaginare cosa in lei si fosse spezzato caricando la sua giovane vita di un oneroso
fardello. Quella sera tornato a casa provò a raccontare per scritto quelle sue sensazioni, rileggendo la storia notò che lo stile si era fatto più scarno, e quando finì di rileggere stava piangendo.




Commenti

  1. Perché due vite ordinarie si sarebbero separate? Ci vuole una scintilla anche per rompere un matrimonio.. vero che forse lui cercava solo il modo esatto per far sgorgare una lacrima..
    perdonami ma cercavo di rendermi ...Ireneo, nella lettura; di cogliere attinenze, affabilità, abitudini.. pensavo alla mia separazione, ai miei casini.. alla mia disordinata ordinarietà, in fondo..

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    1. Magari erano diversamente ordinari, magari lei si è riconosciuta dentro un guizzo che non sapeva di avere, magari due solitudini non fanno una complicità, chissà

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  2. La moglie di Ireneo era nata il 30 giugno e si chiamava Protoromana, certo come nome era più sfigata di lui perchè essere nata nel giorno dei protomartiri romani le ha portato un nome che, seppure inconsueto, non era il di sicuro più bello del mondo. La vita ordinaria che faceva in compagnia del suo Ireneo si incrinò il giorno che lui volle far l'amore un giovedì anzichè il sabato sera al ritorno dal cinema. Lei certo insistette che non era possibile perchè non c'era un film neanche alla televisione ma poi cedette alle di lui richieste ma restò delusa da questa fuga dall'ordinario e lo lasciò per paura che questa divagazione fosse il segno di un cambiamento della loro ordinarietà e che li avrebbe portati a chissà quali fantasiose quanto inconsueti sconfinamenti. Si sa di lei che ora vive con un impiegato del catasto (tale Dioclezianoab nato il primo luglio che doveva essere Diocleziano abate ma siccome il calendario era piccolo i suoi genitori credettero che il nome fosse tuttintero ) che le ha giurato che il sabato e solo il sabato dopo il cinema potranno soddisfare i loro sensi.

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    1. fosse nato il 29 a Ireneo sarebbe andata peggio: i genitori, ligi al calendario, lo avrebbero chiamato PietroePaolo.
      massimolegnani

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  3. Be', io ho conosciuto Ireneo Ferrari. Ma di ordinario aveva poco.

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