Lo- li- ta
Brian Despain* |
Era arrivata nella classe ad anno scolastico già iniziato, il padre, mi
disse il preside era un diplomatico che si era dovuto trasferire per
l'ennesima volta, la madre l'aveva seguito con il fratello più piccolo,
lei si era fermata nella nostra città, ma a casa degli anziani nonni; la
realtà era che sarebbe stata una "tata" a prendersi cura di lei, quindi
non c'era modo di confrontarsi con nessun adulto.
Aveva quell'aria da prima della classe, quasi sembrava indossare l'aureola, sempre pronta quando la interrogavi, sempre attenta quando spiegavi, ma poi a volte le scivolava fuori, non si sa da quale angolo della personalità l'occhio da Lolita e il suo sguardo più che guardarti sembrava spogliarti, non si poteva reggere. Avrebbe compiuto quindici anni a novembre, le fattezze ancora da bambina e gli occhi da donna navigata, ma solo quando ti guardava in quel modo; ché se la osservavi mentre parlava con le compagne di classe pareva un topolino candido, smarrito dentro ad una gabbietta di laboratorio, un attimo prima che iniziasse l'esperimento. Quando invece sfoderava quello sguardo pareva il craniotomo lo avesse in mano lei, ti sezionava e lasciava scritto dentro di te l'indicibile, come un marchio, percepivi di aver cambiato il colore del tuo incarnato, le mani sudate, il battito accelerato. Eppure facevo questo mestiere ormai da anni, amavo insegnare, sapevo come trattare con gli adolescenti e di "cotte" di mie studentesse ne avevo affrontate diverse. Succede che si invaghiscano dell'insegnante che spiega con passione, che li tratta con rispetto, conquistandosi il loro invece di pretenderlo. Ma c'era qualcosa di particolare in questa sua "infatuazione" per me, qualcosa di fin troppo esplicito, così andavo interrogandomi su come e se avessi potuto inviare a quella ragazzina segnali male interpretabili: approvazioni per suo rendimento, decisamente superiore alla media di quella classe, magari con intonazione della voce ambigua; incroci di sguardi che lei potesse interpretare come una dichiarazione di intenti che sinceramente non avevo.
Eppure per quanto frugassi dentro di me, alla ricerca di note oscure, quelle non emergevano.
Non che fosse facile non rimanere rapito dallo sbocciare della sensualità di quelle ragazze, ma non c'era nulla in lei che catturasse la mia attenzione, eccetto la dissonanza. Così mi barcamenavo navigando a vista su un mare di spini, cercando di non lasciare margini al crescente coinvolgimento della piccola Lolita.
Le poesie sono il ritmo ed il metro della mia vita, amo la parola limata, proprio quella, da collocare al posto giusto, con la luce dello sguardo del lettore che le fornisce le giuste ombre, come in un mosaico; quella, che lo sapeva bene, lasciava bigliettini e non sceglieva mai versi dalla sensualità implicita, anche questo aspetto mi lasciava perplesso, perché sapevo, per esperienza, che quando un adolescente vuole fare il romantico sceglie Neruda o al limite Pedro Salinas, difficilmente sceglie Kenneth Rexroth o Assunta Finiguerra anche se è indubbio che oggi con google chiunque può trovare qualunque cosa voglia; il problema per l'adolescente medio è voler cercare, soprattutto voler cercare poesia.
Fu una mattina di tarda primavera (una di quelle primavere che fanno le gradasse, una primavera esagerata, cui nessuno può restare indifferente, con un tepore che promette estate, gli abiti leggeri che fanno sognare), nella mia ora libera, che Lolita mi sferrò l'attacco finale dopo mesi di assedio, nessuno all'orizzonte dietro cui farmi scudo, nessun pretesto per allontanarsi. Venne nell'aula professori deserta, le finestre aperte su quel tripudio di colori e odori che riesce a celare l'immondezzaio di una città media italiana dei nostri tempi e si protese verso di me con quel suo sguardo che aveva venduto ai tempi dell'asilo, l'innocenza, per un lecca lecca, e stava per baciarmi, quando sentii una goccia sulla mano sinistra, una goccia gelida e aprii gli occhi, che, così, chiusi all'irreparabile, mi condannavano; e vidi quella macchia bagnata lungo l'esile sterno e lei si accasciò sulla mia scrivania, esanime, come si fosse spenta. Chiamai soccorso per me stesso e per Lolita e, stranamente, il primo ad accorrere fu il preside, che aveva il suo ufficio dalla parte opposta dell'edificio su un altro piano, quasi fosse fuori della porta. Nel petto di quella, che ora pareva essere ritornata il topolino bianco di laboratorio, si allargava la chiazza, giunse la collega che aveva fatto per ultima il corso di primo soccorso, non sentiva polso, la ragazzina non respirava, aprì gli abiti di Lolita, per cercare di praticare un massaggio cardiaco: sul torace uno "sportello" da cui scendeva ora un piccolo rigagnolo gelido. Rimanemmo sconvolti. La mia collega, spinse su quello sportello: un cuore di ghiaccio si stava sciogliendo, dentro al vano di quel piccolo corpo esangue; sotto in più lingue le indicazioni della casa madre spiegavano che si trattava di un androide modello "studentessa tentatrice" e un foglio, che era stato il responsabile della difettosa chiusura dello sportello, con degli ideogrammi; il preside a quel punto era già sparito. Mi voltai e vomitai nel cestino della carta.
Ora so che la scuola che non aveva più i mezzi per gli aggiornamenti dei professori, per gli strumenti didattici, per i fogli per la fotocopiatrice, per gli insegnanti di sostegno, insomma per essere una scuola, aveva concesso ad una ditta di androidi giapponese la possibilità di testare i suoi prototipi in cambio di computer. Lolita era stata programmata per puntare ed assediare il primo insegnante di sesso maschile le fosse toccato davanti ed era successo a me. Scoprimmo in seguito che il foglio, che aveva causato il malfunzionamento, era un Haiku che uno degli operai della ditta costruttrice aveva inserito in fase di assemblaggio, dedicandolo ad una sua collega di lavoro che non l'aveva però intercettato
Ki No Tomonori
Un incaricato della ditta venne a ritirare il prototipo.
La poesia mi aveva salvato, ma faccio sogni agitati da allora.
* ho visto questa immagine di Despain qualche tempo fa e mi è venuta in mente una storia per fare gli auguri ad un amante dei fumetti che è anche professore e poeta
Auguri Sergio :)
Eppure per quanto frugassi dentro di me, alla ricerca di note oscure, quelle non emergevano.
Non che fosse facile non rimanere rapito dallo sbocciare della sensualità di quelle ragazze, ma non c'era nulla in lei che catturasse la mia attenzione, eccetto la dissonanza. Così mi barcamenavo navigando a vista su un mare di spini, cercando di non lasciare margini al crescente coinvolgimento della piccola Lolita.
Le poesie sono il ritmo ed il metro della mia vita, amo la parola limata, proprio quella, da collocare al posto giusto, con la luce dello sguardo del lettore che le fornisce le giuste ombre, come in un mosaico; quella, che lo sapeva bene, lasciava bigliettini e non sceglieva mai versi dalla sensualità implicita, anche questo aspetto mi lasciava perplesso, perché sapevo, per esperienza, che quando un adolescente vuole fare il romantico sceglie Neruda o al limite Pedro Salinas, difficilmente sceglie Kenneth Rexroth o Assunta Finiguerra anche se è indubbio che oggi con google chiunque può trovare qualunque cosa voglia; il problema per l'adolescente medio è voler cercare, soprattutto voler cercare poesia.
Fu una mattina di tarda primavera (una di quelle primavere che fanno le gradasse, una primavera esagerata, cui nessuno può restare indifferente, con un tepore che promette estate, gli abiti leggeri che fanno sognare), nella mia ora libera, che Lolita mi sferrò l'attacco finale dopo mesi di assedio, nessuno all'orizzonte dietro cui farmi scudo, nessun pretesto per allontanarsi. Venne nell'aula professori deserta, le finestre aperte su quel tripudio di colori e odori che riesce a celare l'immondezzaio di una città media italiana dei nostri tempi e si protese verso di me con quel suo sguardo che aveva venduto ai tempi dell'asilo, l'innocenza, per un lecca lecca, e stava per baciarmi, quando sentii una goccia sulla mano sinistra, una goccia gelida e aprii gli occhi, che, così, chiusi all'irreparabile, mi condannavano; e vidi quella macchia bagnata lungo l'esile sterno e lei si accasciò sulla mia scrivania, esanime, come si fosse spenta. Chiamai soccorso per me stesso e per Lolita e, stranamente, il primo ad accorrere fu il preside, che aveva il suo ufficio dalla parte opposta dell'edificio su un altro piano, quasi fosse fuori della porta. Nel petto di quella, che ora pareva essere ritornata il topolino bianco di laboratorio, si allargava la chiazza, giunse la collega che aveva fatto per ultima il corso di primo soccorso, non sentiva polso, la ragazzina non respirava, aprì gli abiti di Lolita, per cercare di praticare un massaggio cardiaco: sul torace uno "sportello" da cui scendeva ora un piccolo rigagnolo gelido. Rimanemmo sconvolti. La mia collega, spinse su quello sportello: un cuore di ghiaccio si stava sciogliendo, dentro al vano di quel piccolo corpo esangue; sotto in più lingue le indicazioni della casa madre spiegavano che si trattava di un androide modello "studentessa tentatrice" e un foglio, che era stato il responsabile della difettosa chiusura dello sportello, con degli ideogrammi; il preside a quel punto era già sparito. Mi voltai e vomitai nel cestino della carta.
Ora so che la scuola che non aveva più i mezzi per gli aggiornamenti dei professori, per gli strumenti didattici, per i fogli per la fotocopiatrice, per gli insegnanti di sostegno, insomma per essere una scuola, aveva concesso ad una ditta di androidi giapponese la possibilità di testare i suoi prototipi in cambio di computer. Lolita era stata programmata per puntare ed assediare il primo insegnante di sesso maschile le fosse toccato davanti ed era successo a me. Scoprimmo in seguito che il foglio, che aveva causato il malfunzionamento, era un Haiku che uno degli operai della ditta costruttrice aveva inserito in fase di assemblaggio, dedicandolo ad una sua collega di lavoro che non l'aveva però intercettato
Quieta è la luce
nei giorni di primavera,
ma non c’è pace
per questo cuore –
sono caduti i fiori.
Ki No Tomonori
Un incaricato della ditta venne a ritirare il prototipo.
La poesia mi aveva salvato, ma faccio sogni agitati da allora.
* ho visto questa immagine di Despain qualche tempo fa e mi è venuta in mente una storia per fare gli auguri ad un amante dei fumetti che è anche professore e poeta
Auguri Sergio :)
letto tutto d'un fiato!
RispondiEliminaehi ma questi talenti dove li nascondevi, amanda? o forse sono io pigro che non ho cercato bene..
sto qui da mezzo secolo :D
Eliminagrazie mille Amanda.
RispondiEliminaora sono di corsa in sala insegnanti, oggi pomeriggio a casa mi leggo con calma tutto il post.
un abbraccio.
Auguri Sergio, un abbraccio
EliminaE che signori auguri, con questo racconto bellissimo! Sembra la seconda parte di Blade Runner!
RispondiEliminaho visto cose che voi umani.................
Elimina"Io da grande volevo essere Amanda"
RispondiEliminaquale?
EliminaNon tutte le Amande sfornano parole magiche?
Eliminadavvero un gran bel regalo !
RispondiEliminatu aspetta il tuo che è già incartato
EliminaAccattivante, poi raggelante.
RispondiEliminama c'è un finale meno duro questa volta, ammetti :)
Eliminagrazie di nuovo, Amanda. decisamente azzeccato.
RispondiElimina(e comunque, dovresti sul serio pubblicare una cosa tutta tua.
c'è un comune amico che secondo me sarebbe lieto di farlo)
non pensi Sergio che se il comune amico trovasse interessante quello che scrivo partirebbe da lui l'iniziativa? Non ho velleità mi piace scrivere :)
Eliminaeh, anch'io ragionavo così, poi ho riconsiderato un vecchio proverbio del mio paese, che recita "chi te' a facce ce mmarite, chi n'a te' rumène zite".
Elimina(devo tradurtelo?)
Inquietante! E sì con finale a sorpresa e decisamente romantico. Brava brava! Ah e buon compleanno a Sergio!
RispondiEliminagrazie :)
EliminaAuguri Professore! Felice Compleanno!
RispondiEliminaSperavo di considerarti Amanda-umana se da un tuo maxi-racconto all'altro ( l'ultimo risaliva al 24 Febbraio) trascorrevano almeno dieci giorni. Invece ti sono stati sufficienti sette giorni. Ma come diamine fai? Non è che sei un' Amandroide!
RispondiEliminadimentichi Leo che i compleanni io li conosco per tempo e pianto lì un'idea a cui lavoro poi per settimane, a volte, altre volte invece l'idea mi viene così "preconfezionata" :)
Eliminagli auguri come li fai tu non li fa nessuno.
RispondiEliminami sono immedesimata.... nell'androide dico!!!
tanti auguri a Sergio, anche se in ritardo....
a te la cuoca androide :D
Eliminaauguri a Sergio e un clap clap a te
RispondiEliminasei spettacolare :) bravissima a narrare,
altresì deliziosa ad avere sempre un pensiero d'auguri, e non solo, per tutti