Storia di N.
Questa storia necessita di una premessa.
Ho
provato ad entrare per due anni alla scuola di specializzazione in
pediatria, dopo aver passato l'esame il primo anno, ma quindicesima in graduatoria
su 70 partecipanti al concorso, con 12 posti in gioco, sono stata convocata dal Primario che mi ha detto"
se vuole riprovare il prossimo anno dovrà accettare di ruotare il reparto
in cui fare tirocinio in attesa dell'esame, le propongo come tutor la
Dott.ssa XXX". In quel periodo quella collega al mattino occupava il suo
posto in Patologia Neonatale, al pomeriggio cercava di creare una
ludoteca ed altre attività di intrattenimento per i bambini ricoverati,
oltre alle ore scolastiche già garantite dalla struttura. Così la seguii
in entrambe le sue attività e fu nella mia veste pomeridiana che
conobbi N, non ero quindi il suo medico curante. Il mio compito in
reparto era capire che tipo di giochi potessero essere di stimolo per
quei pazienti particolari ed indurre i genitori ad utilizzarli nelle ore
concesse di visita.
Se
volete figurarvi N dovete pensare ad uno di quei bei putti paffuti che
si vedono in molti dipinti dell'arte rinascimentale italiana. Aveva una
chioma di boccoli rosso tiziano cupo, un incarnato bianco, le lentiggini
spruzzate sul nasino ed aveva 20 mesi. Solo che era un putto a cui
avevano spezzato le ali e spezzato la cetra.
Quando
aveva poco più di un mese N viaggiava in auto, non era in un seggiolino
protettivo, non era allacciato a nessuna cintura, e la madre aveva
pensato di allattarlo in corsa, seduta sul sedile davanti. E il fato
volle che la macchina di famiglia con i figli maggiori seduti dietro e
lui lì che ignaro poppava, si andasse a schiantare contro un'altra auto. N
decolla e il volo termina con il corpicino schiantato. Come spesso
succede arrivano i soccorsi, si fa il possibile per salvare quella
minuscola creatura, chi non lo farebbe al loro posto. N si salva, ma
nell'incidente ha riportato la frattura delle prime vertebre
cervicali; verdetto infame: paralisi dei 4 arti, ma non solo, N ha anche
il diaframma paralizzato, resterà per sempre attaccato ad un
respiratore.
Questo
bambino crea un problema morale all'intero reparto di rianimazione
pediatrica, si cercano casistiche, si cercano speranze, si cercano delle
vie di scampo da una condanna impensabile per una creatura di pochi
mesi. Ed un collega, che sa dell'esistenza di un pace-maker diaframmatico,
inizia a prendere informazioni.Quando io conoscerò N, sarà stato da
poco sottoposto all'impianto del pace- maker. Cosa fa questo aggeggio?
in pratica manda un impulso elettrico al diaframma che si abbassa
consentendo la ventilazione della cassa toracica. Questo permette ad N
di stare staccato dal respiratore durante le ore diurne. Ma siccome la
sfortuna di questo bimbo non è ancora sufficiente, c'è da dire che la
famiglia del bimbo, nel frattempo è tornata alla vita precedente
alla sua nascita, troppo duro convivere con una bambola rotta (allora
ero feroce nel giudizio, poi ho provato a mitigare la mia posizione, e comprendo
che sia molto difficile accettare un lutto del genere). N da mesi è solo
all'ospedale. Le infermiere che avevano adottato N mi videro come una
manna dal cielo: A loro premeva che N, che non era mai uscito da quel
reparto da quando aveva due mesi, fosse stimolato il più possibile. A
causa della tracheotomia, indispensabile per il respiratore, N non
poteva parlare, ma loro gli avevano insegnato a schioccare la lingua per
dire sì o in segno di apprezzamento e comunque lui sorrideva ogni volta
che qualcosa gli piaceva o suscitava il suo interesse. Presi ad
occuparmi di lui nei pomeriggi di quella tarda primavera: cantavo,
raccontavo storie, gli facevo il solletico o carezze sul collo e sul
viso (le uniche zone sensibili). Un giorno il collega che aveva eseguito
l'impianto del pace-maker mi disse che N sarebbe stato pronto per uscire
per brevi periodi di lì, ma che nessuno in reparto aveva tempo per
portarlo in giro e mi guardò con aria interrogativa. Così con un
passeggino adeguato, un monitor per la saturazione dell'ossigeno ed un
ambu, in caso di emergenza, partimmo alla scoperta del mondo. Il mondo di
N, allora era limitato all'asilo dell'ospedale ed al lungo terrazzo del
reparto, ma era un mondo.
Ricordo
gli occhi da prima spaventati e poi curiosi la prima volta che vide
degli alberi o che ebbe la possibilità di stare ad un tavolo con altri
bambini che giocavano.
N
a quel punto era pronto per essere spostato da un reparto di terapia
intensiva ad uno di lungodegenza e quindi vennero a prenderselo dalla
sua regione di appartenenza e so che la lunga opera di mediazione degli
assistenti sociali vinse il muro creato dalla famiglia che cominciò
nuovamente ad occuparsi di lui.
Ma non è un lieto fine, non so se N sia ancora vivo, che tipo di vita possa fare ora che non è più un putto ma un ragazzino. La prima volta che vi ho scritto la sua storia nell'altro blog non sapevo che dopo poco la famiglia lo aveva nuovamente abbandonato in un istituto per lungodegenti.
Il mio non è stato un atteggiamento molto professionale, ci ho messo troppo cuore e troppo di me in quei mesi.
Forse ne avevamo bisogno tutti e due e so che lo rifarei anche domani
Trovo inaccettabile qualsiasi forma di dolore o ingiustizia causati ad un bambino. Se poi la responsabilità è degli adulti, non ragiono più. I bambini sono sacri. Quelli più deboli lo sono ancora di più. Come si fa ad abbandonarli? Cosa scatta per renderti così disumano?
RispondiEliminase non lo avessi fatto non saresti stata tu e non mi saresti piaciuta così tanto.
RispondiEliminae non so come giudicare i genitori, non voglio giudicarli, il dolore annienta e non si sa come ci puo' far reagire... spero che N sia felice, almeno un po'.
Credo di essere "feroce nel giudizio" verso quei genitori egoisti, come tu dici di non essere più. E credo anche che gli immensi doni che hai fatto a quel putto infelice, "mettendoci troppo cuore e troppo di te" abbiano avuto in te una contropartita di grazia profonda.
RispondiEliminaUna bella testimonianza, grazie per questo racconto vero.
Povero piccolino! Amanda non sei stata affatto poco professionale, secondo me, anzi hai dimostrato una sensibilità che neppure i genitori del piccolino hanno avuto, ed è veramente discutibile il comportamento di due genitori che abbandonano un figlio che ha avuto "dei problemi"
RispondiEliminaGrazie di questo racconto, Amanda. Quanto dolore in questa povera umanità. Tu sei proprio l'angelo dei bambini :-)
RispondiEliminaCredo che davvero non abbiamo elementi per giudicare quei genitori, e li avremmo solo stando al posto loro, credo che tutta l'empatia del mondo non basti a capire cosa si prova e cosa scatti dentro. La tristezza è che questo figlio era sano e dopo era tutto rotto e, che tu genitore lo abbandoni o continui a prendertene cura, il peso e il dolore dell'accaduto non te lo scrolli più.
RispondiEliminaRispetto al troppo cuore e alla troppa te, tutta la mia comprensione: sarei un'assistente sociale, ho sempre lavorato nel servizio minori negli anni in cui ho svolto la professione. Poi, appunto, ho smesso.
non so capire e non voglio giudicare, vorrei solo essere vicino a te per abbracciarti forte.
RispondiEliminaNon vedevo l'ora di finire di legge
RispondiEliminama non potevo smettere finchè non avessi finito
Aspetta che penso alla dinamica :)
EliminaQuanto cuore, Amanda. Bello sapere di persone così, nel mondo.
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