Rewind



L'immagine di un babbo che si è fatto tatuare un impianto cocleare come quello della sua bimba


Apro la porta dell'ambulatorio e giro rapida verso la segreteria, ma nello svoltare il mio occhio coglie due figure in sala d'attesa, lancio un "arrivo subito" ma è una frazione di secondo, come un nastro dopo aver premuto il tasto rewind, retrocedo, perché la mia mente è tornata indietro di almeno dieci anni, per fortuna le mamme non cambiano molto, ma veramente a guardarla meglio, perfino lei conserva ancora il musetto monello dentro quel corpo di giovane donna, gli occhi azzurri e vivaci sono proprio loro. Hanno scoperto dove lavoro ora e sono venute apposta a trovarmi per salutarmi.
L. è nata sorda, la diagnosi allora non avveniva mediante screening neonatale, quindi aveva circa un anno quando i genitori hanno iniziato ad avere dei dubbi, aveva 18 mesi quando i dubbi sono diventati certezze ed aveva 22 mesi quando ci si è resi conto che le protesi acustiche erano insufficienti alla gravità della perdita. Tanti, ma per fortuna non troppi perché intervenendo tempestivamente non si potesse prospettare per lei un futuro simile a quello di ogni suo coetaneo udente.
L. è stata una dei primi bambini che ho seguito nel percorso che va dalla diagnosi di sordità al'impianto cocleare. C'ero la mattina dell'intervento e sono stata fuori della sala operatoria con i suoi genitori durante la loro interminabile attesa, c'ero dopo un mese quando abbiamo attivato l'impianto e lei ha fatto le facce più strane del mondo e la "scafetta" perchè stava sentendo dei suoni per la prima volta, c'ero la prima volta che è riuscita a fare un esame audiometrico completo voltandosi a guardare Topo Gigio o Pinocchio all'arrivo dei suoni. C'ero il giorno in cui i suoi genitori si sono presentati con un sorriso in cui si contavano centinaia di denti perché aveva detto le prime parole e c'ero infine quando a cinque anni con un vocabolario ricco ed una parlantina sciolta mi diceva che da grande voleva fare la dottoressa come me  e sua madre mi diceva "se non sapessi lo spavento che ho provato finché non l'ho sentita parlare, domanderei, più di qualche volta, dov'è collocato il tasto del silenziatore". 
Poi a lei  non servirono più controlli frequenti e comunque non ebbi più un contratto in quell'ospedale, la vita mi portò altrove, ma oggi erano qui, solo per me, per venirmi a salutare. Ci siamo abbracciate.
Il mio lavoro, l'ho detto spesso, consente privilegi enormi che ripagano di tutto il resto.

Commenti

  1. Direi che il tuo racconto dice tutto. Mi sono emozionata anch'io che non c'entro:)

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  2. Grazie di averci fatto partecipe, come sai fare tu, di una storia umana davvero emozionante.

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    1. La tecnologia permette a volte cambiamenti epocali per pochi ma che modificano la storia dell'umanità

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  3. com'è che riesci sempre a commuovermi?
    sei la mia dottare preferita, senza ombra di dubbio

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  4. non è solo il tuo lavoro....sei tu.. :)

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  5. Mi tocca il cuore il tuo racconto e mi tocca il cuore sapere che esitono gli "esseri umani".
    Francesca

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  6. direi che sei un medico con la M maiuscola, uno di quelli fa tenere stretti stretti

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    1. tu sai benissimo come sono questi percorsi di cura e riabilitazione e sono sicura che è anche il tuo tipo di approccio

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  7. Queste sono soddisfazioni che nessuno stipendio ti potrebbe mai dare!

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    1. già :) anche se ora si tende a dire che uno dovrebbe lavorare gratis per le soddisfazioni e nemmeno questo è giusto

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  8. Evito altri commenti che sono stati già fatti,
    volevo solo sapere se anche da te si chiama "babbo" come da me.
    Ciao.

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    1. no qui non si usa babbo, ma i miei nipoti che hanno la mamma toscana di nascita, lo usano

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  9. Non hai fatto solo il tuo lavoro, hai anche toccato il loro cuore.
    Un caro saluto

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