Hic et nunc

Lorenzo Mattotti





Per essere qualcuno qui ed ora,
 bisogna rinunciare ad essere un altro,
 altrove o in seguito

Vladimir Jankélévitch




Era sempre stato qui ed ora, era un padre ed un marito ed era stato, ed era ancora, il figlio unicogenito di madre vedova e tiranna e lavorava con impegno molto tempo prima che il panico strisciante da crisi rendesse tutti "devoti" alla professione.
Unica concessione all'hic et nunc erano le pagine dei libri ed i sogni: amava entrambi profondamente ricambiato. E gli uni e gli altri gli concedevano straordinarie evasioni, cancelli aperti su mondi sconosciuti, voli su panorami sconfinati.
Ora contava qualche capello in meno e qualche pelo di barba si era impreziosito luccicando d'argento al mattino prima della sentenza capitale del rasoio, ma vedendosi allo specchio ancora sorrideva al suo riflesso che non aveva tradito l'idea che aveva di sè. Sapeva ironizzare sulle sue miserie umane e regalare sorrisi al prossimo.
Poi un giorno aveva iniziato a dormire poco e male ed il sonno aveva smarrito il sogno.
Si aprì così una stagione cupa dell'anima con cieli bassi e pesanti, furti di sorrisi e mari di silenzio, la sensazione del precipizio ad un passo o peggio la convinzione che quel passo fosse già stato fatto ed il dolore di aver dimenticato come, quando e perché. La sua bocca aveva preso una piega amara e la barba al mattino dava un'ombra livida al viso.
Prese coscienza del fatto di avere molte viscere, perché dolevano, non suonavano più come strumenti bene accordati sotto la direzione di un buon Maestro d'orchestra.
La sua vita stessa divenne un fardello pesante che non sapeva neppure trasportare.
Si lasciò trascinare dal medico dalla moglie angosciata che temeva nell'ordine disturbi del cuore, del fegato e della mente, ma solo perché da un bel po' non si esercitava nella lettura della sua anima.
Il medico era un brav'uomo  e gli fece fare alcuni esami per tranquillizzare lui e la sua famiglia. Rassicurato dai buoni esiti gli disse "Dove la smarrì la diritta via? E dove lo andiamo a cercare il tracciato? Ora le sembrerà impossibile, ma, questa volta, non sono io che potrò fornirle la soluzione, quella va cercata dentro di lei, può venire qui quando vuole a raccontarmi come la sta cercando, l'ascolterò volentieri, ma sia clemente con se stesso, si conceda una chance".
Quella porta aperta segnò il passo di un tentativo di nuovo inizio.
Si impose di dormire quando aveva sonno e ricominciò a sognare ed in mezzo ad un groviglio di sogni disperati trovò, di tanto in tanto, uno dei sogni che un tempo lo facevano volare.
Nell'intervallo di pranzo si concedeva lunghe passeggiate, ancora non riusciva a concedersi di viaggiare con i libri.
Venne nuovamente l'inverno e quell'anno fu particolarmente inclemente, tornò così a rifugiarsi in biblioteca nell'intervallo di pranzo. C'era una nuova bibliotecaria, i lunghi capelli domati in una grossa treccia, gli occhi belli dietro alle spesse lenti ed i suoi modi cortesi raccontavano di più di lei di quanto non facessero i suoi imbarazzati tentativi di socializzare.
Presero a raccontarsi i libri che leggevano, presero a consigliarseli.
Un giorno lei gli chiese come mai non leggesse più libri di poesia, mentre dalla sua scheda risultava che ne avesse presi molti in passato; lui le confidò che per leggere poesia bisognava poi saper ascoltare l'eco che i versi facevano risuonare dentro di te e che lui da un po' era anecoico - qualunque cosa questo significhi- , le disse, (e fu la prima volta dopo mesi che riuscì a regalare un sorriso); mentre, al momento, i romanzi avevano ripreso ad accompagnarlo in viaggio, anche se per mesi non erano stati altro che il peso di un plico di fogli di carta nella tasca della sua giacchetta. Lei gli disse che comprendeva il senso del suo dolore ed a lui parve più bella.
Ogni volta si salutavano e si domandavano "Come stai?" e quelle due parole avevano un peso, come sassi nelle loro bocche, sassi lanciati alla ricerca di un segnale dal fondo, le rinnovavano ogni giorno senza che divenissero un'abitudine con la fame di sapere l'uno dell'altro, con la certezza che formulare la domanda ed ascoltare la risposta fossero medicina l'uno per l'altra.
Un giorno all'ennesimo come stai, lui rispose di essere tentato alla fuga, lei domandò se sarebbe stata una fuga solitaria, e l'uomo rispose "quando sparirò inizia a controllare la tua cassetta della posta, ci troverai , prima o poi un biglietto aereo". La donna sorridendo gli disse "se fuggissi saresti un uomo diverso". Lui disse "mi riconoscerai lo stesso, sarò quello con una camicia a righe rosse sottili ed una pianta di rosmarino fiorito, la parola d'ordine sarà: ti ho messo il sale sulla coda, e la controparola: per fortuna non l'hai persa".


 

Commenti

  1. Bello, bello, bello... da sognarci sopra.
    Grazie.
    Francesca

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  2. Te ogni tanto ci regali di queste perle
    che pare siano venute dall'universo che abbiamo dentro
    ma come fai da donna a conoscere (e non è la prima volta) così bene gli uomini?
    Questo è il sogno di ciascuno di noi maschietti
    evadere per sempre o per un po'
    colpevolizzando qualcun altro della nostra instabilità.
    Ti hanno già detto "bravissima" "Incantato" "Bellissimo" " bello, bello ecc."
    cosa vuoi che ti dica? Scegli te che di parle ne conosci più di me
    e le sai mescolare benissimo.

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  3. Disegno, citazione e tuo pezzo sono in perfetto equilibrio, complimenti.
    p.s. sempre adorato Lorenzo Mattotti.

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  4. Grazie mille a tutti, a volte anche i ripescaggi danno soddisfazione; bentornato Giardi :-)

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  5. Mi sono venuti i brividi, e non per il raffreddore che mi attanaglia..

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