Non è mai troppo tardi
Diego Santini |
C'era una volta un gigante anziano, così anziano da potersi considerare antico quanto il mondo. Forse per i giganti il tempo trascorre diversamente che per gli altri uomini. Oltre a essere anziano, quel gigante era solo, come nessun uomo era mai stato, per quanto si sappia a memoria umana. Certo esistevano gli asceti, ma anche quelli prima di decidere per loro stessi la solitudine della meditazione o della preghiera, erano stati bambini e giovani come tutti gli altri e solo in seguito e volontariamente avevano fatto la scelta di trascorrere il tempo da eremiti. Il gigante invece, oltre a essere fuori misura, era anche terribilmente brutto. Una piccola testa si ergeva su quel corpo disarmonico e flaccido e su quel piccolo volto troneggiava un enorme naso adunco che lo faceva somigliare a un formichiere. Era stato un
bambino infelice non solo perché non poteva condividere i giochi con gli altri, ma perché, nonostante la sua innata curiosità gli era stato negato l'accesso al sapere, non aveva frequentato una scuola e nessuno aveva perso tempo per insegnargli a leggere e scrivere. In quella sua desolata, infinita solitudine, il vecchio gigante aveva affinato l'arte dell'osservazione : studiava l'incessante lavorio delle formiche, le
sfumature di albe e tramonti, il mutare della consistenza della spighe del grano da maggio alla mietitura, il colore del ghiaccio nelle ombre dell'inverno, l'espressione dei gatti cacciatori e dei cani fedeli. Ascoltava i canti delle lavandaie alla fonte e ne teneva a mente interi brani che alla sera si cantava da solo per regalarsi quelle ninna nanne che nessuno gli aveva mai cantato. Spiava il lavoro dei campi e quello dei boscaioli e in
questo modo aveva imparato a costruirsi con degli attrezzi di fortuna delle suppellettili e a coltivare un orto. Inoltre sapeva cucire per sé abiti e calzari utilizzando scarti di tessuti che raccattava in giro e che poi tingeva con i colori del bosco per mimetizzarsi al meglio. Tutto questo non colmava il grande vuoto che avvertiva. Un giorno nel bosco fu attratto da una voce infantile. Ai margini di una radura, sotto una grande quercia, una bambina stava leggendo un libro di favole alla sua bambola di pezza. Mutava la voce a seconda del personaggio rappresentato e il gigante ne rimase estasiato. Stette immobile ad ascoltare quella lettura e poiché la bimba tornava spesso alla radura, quello finì col divenire il momento più atteso delle sue giornate. Un pomeriggio
nel fitto dell'ombra del bosco al gigante scappò uno sternuto e la bimba fu sollevata e trasportata poco distante. Il gigante quindi si preoccupò che la piccola spaventata potesse scappare e istintivamente allungò la mano, prelevò la bimba, le sistemò l'abito, sedette nuovamente vicino a lei la bambola che era finita sopra a un ramo e soprattutto recuperò il libro che era finito molto lontano, così lontano che da sola non avrebbe mai potuto recuperarlo. Fece tutto questo d'istinto, senza pensare che la bambina si sarebbe potuta terrorizzare per le sue fattezze come da sempre facevano tutti gli altri umani, quella invece con un sorriso gli disse semplicemente "Grazie". Nacque così un sodalizio tra i due e senza doverselo dire esplicitamente, lei stabilì che non avrebbe raccontato a nessuno del suo nuovo amico.
Lei leggeva per lui i suoi libri, il gigante imparò a sorridere. Poi un giorno la bimba gli chiese "Ti piacerebbe imparare a leggere?" Lui disse che riteneva di essere troppo vecchio per farlo. Lei ribattè "Non è mai troppo tardi".
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