Gisella e il guado


Daniela Pareschi




Gisella aveva infornato torte, riposto in frigo dolci al cucchiaio, budini, creme caramel. Aveva tirato sfoglie di tagliatelle, ravioli, tortelli e cannelloni. Ingurgitato cubetti di cioccolato rigorosamente fondente perché gli esperti asserivano essere più sano. Aveva fatto la maionese e non erano impazzite né lei, né la salsa, poi avendoci preso gusto aveva fatto la tonnata, la verde, la rosa, la bernese e via via tutto l'indice analitico della sessione salse del ricettario che le aveva regalato sua nonna quando era uscita di casa. Aveva fritto verdure pastellate, panzerotti, bomboloni, pesce, cotolette dalla doppia panatura. Aveva impastato pizze, focacce, pagnotte sciape e salate, sfilatini, pane cassetta, pani dolci, pane al latte e perfino pani speziati di segale (prima che delle farine strane non si trovasse più traccia lungo l'intera penisola). A lei le neofite dell'impasto e il loro piagnucolare sulla irreperibilità del lievito di birra facevano un baffo, possedendo una riserva strategica di lievito madre da rinfrescare ad libitum. Aveva cotto bolliti, brasati, stufati e spezzatini come se non ci fosse un domani, come se sfamare il mondo o anche solo la sua famiglia volesse dire salvarlo dal morbo, come se cucinare potesse fungere da asta per guadare quei giorni di quarantena con slancio. Aveva mantecato risotti con funghi, piselli, radicchio e tutte le verdure che trovava al mercato  Poi una mattina (quando ormai le ore si erano inanellate in giorni e quelli avevano sconfinato in collane di mesi di cui lei aveva smesso di tenere conto,  che  si ripetevano colorati solo dal condimento dal sugo delle pastasciutte ) tornando dalla spesa settimanale, dopo aver risposto tutto, ed essersi spogliata si era guardata nello specchio dell'ingresso come non faceva più da tempo. Perfino quella mattina era uscita senza guardarsi, presa dal panico di dimenticare qualcosa di essenziale: lista, chiavi della macchina, sacchetti per la spesa, mascherina, guanti, igienizzante per le mani, autocertificazione, carta d'identità. Ora invece levò lo sguardo: una ricrescita infelice le solcava  la sommità del capo spartendola meglio di quanto Mosè avesse fatto con le acque del Mar Rosso. Corse in camera e cercò un foulard che si sistemò in capo a mo' di turbante, non si truccava dalla sera del primo decreto che li aveva sigillati in casa e notò sotto gli occhi rughe che non le sembrava di avere mai avuto, poi lo sguardo scese e iniziò a contare i rotolini che si stavano accatastando su di lei manicaretto dopo manicaretto, le sembrarono infiniti come i giorni di quella reclusione. Improvvisamente le parve che l'asta scelta per saltare il guado si fosse fatta corta o che l'altra sponda fosse stata spostata oltre la sua portata, si lasciò andare sull'amaca e finalmente pianse.






Commenti

  1. Il fatto è che Gisella non ha guardato con attenzione la pubblicità istituzionale che spiega benissimo l’importanza dell’attività fisica durante la quarantena. In casa, certo; anche se vivi in 25 metri quadrati e i signori del piano di sotto potrebbero non apprezzare saltelli e corsa sul posto. Ma forse ora è troppo tardi per sostituire l’amaca con una cyclette…

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    1. Tu pensa che noi abbiamo venduto quella del mio babbo solo quest'estate perché con la casa bonsai che abbiamo non sapevamo dove metterla, noi tapini!

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