Sotto il tiglio là nella landa






La grande casa a tre piani  allora era bianca e rossa, anzi bi-rossa: per metà rosso delle vecchie case cantoniere e per metà rosso veneziano stinto; i muri così spessi che potevi sederti ,con un libro, sul davanzale  a leggere comodo, comodo anche se eri adulto. In estate aprivi le finestre ed intravedevi tra le fronde del grande tiglio il campo di bocce della casa più giù a metà prà, dietro la casa la corona dei monti in cui si era combattuta la grande guerra: cima XII, cima XI, l'Ortigara. Era stata costruita nel 700 e si diceva ci avessero dormito le truppe napoleoniche, ma si sa in Italia i posti letto sono equamente spartiti tra Garibaldi e Napoleone, quindi la notizia non fa testo. Dai rami più bassi del tiglio pendeva un'altalena. Era così grosso il tiglio, così possente che nei pomeriggi nuvolosi di fine agosto faceva quasi troppo freddo alla sua ombra. La casa aveva un letto tutto per me, anche se non era la mia casa, ma anche i suoi abitanti dicevano proprio: "quello è il letto di Amanda", la camera era "la camera di Monica ed Amanda". La grande casa aveva una sua voce, le assi del tetto e quelle portanti dei pavimenti crocchiavano,mentre quelle dell'impiantito cigolavano se ti alzavi per fare la pipì di notte temendo di svegliare l'enorme tribù residente (una volta siamo arrivati a contare 14 tra bambini ed adolescenti), ma non succedeva mai, l'enorme tribù, quando cadeva prigioniera del sonno, dopo veglie affaccendatissime, non si sarebbe svegliata neanche con i cannoni. Nel soggiorno tinello al piano terra c'era il grande camino che regalava il suo profumo alla casa. Quando la casa era bianca e bi-rossa era l'unica fonte di calore insieme alla stufa della stanza da bagno, con la vasca di ferro smaltato dagli eleganti piedini, che forniva l'acqua calda. La casa a quei tempi era così umida che se arrivavi in un sabato mattina di inizio settembre dovevi asciugare l'acqua di condensa dal pavimento di piastrelle esagonali di cotto rosso e bianco del piano terra, spalancare le finestre e fare andare il camino per eliminare quel sentore di muffa che aleggiava, mettere in funzione la stufa economica a legna in cucina, goderti il prato fino all'ora di pranzo e finalmente rientrare in una casa divenuta finalmente accogliente per prepararlo.Vicino al camino la mensola dei libri, utili nelle giornate di pioggia, per lo più selezioni del Reader's Digest, tanto invise ai miei genitori, quanto amate dai miei zii. La sera la TV trasmetteva a volte le storie di  Belfagor e se per caso alla puntata faceva seguito un temporale era impossibile prendere sonno. La mattina quando l'enorme tribù finalmente si svegliava al completo,  l'aria profumava di caffè , orzo e latte che venivano serviti in tazzone a pois bianchi: ognuno aveva il suo colore; michette morbide venivano imburrate e spalmate di nutella o marmellata poi tutti fuori sui prati per tutte le ore di luce, si facevano capanne di frasche, si organizzavano le bande rivali a quelle degli alti prà, si andava a funghi sotto l'occhio vigile di zio Gastone, qualcuno veniva obbligato a fare i compiti delle vacanze che erano rimasti inevasi per tutto giugno e luglio. Si era talmente tanti a tavola che a pranzo ed a cena c'era il tavolo dei grandi e quello dei piccoli e si rideva talmente di gusto che a volte era impossibile procedere con il desinare per il "boresso" contagioso che ci prendeva. Se la zia Bruna si dimenticava di comprare qualcosa quando andava in paese a fare la spesa si tirava a sorte chi sarebbe sceso alla Negritella (uno bar spaccio dove trovavi tutto dai giornali, al pane ai generi alimentari di prima necessità) a prenderlo, il problema non era la discesa del prà ma la lunga risalita con i sacchetti della spesa. Nel 74 ogni 4 minuti le mie cugine adolescenti mettevano nel mangianastri " e tu"  di Baglioni ed era l'ultima cosa che ascoltavamo prima di addormentarci e la prima che sentivamo al mattino, tanto che con Monica ne avevamo rifatto il testo e cantavamo a squarciagola "senza te dormirei, senza te russerei, senza te io farei tutti i sogni miei"; nel 76 fu la volta di andare a comprare un topolino alla fiera dell'est, ma allora la casa non era ormai neanche più rossa, il camino era un vezzo, i bagni erano diventati tre e lo sport preferito era l'infatuazione estiva

Commenti

  1. Che meraviglia queste storie d'infanzia! Mi vengono in mente Otto e mezzo e la casa d'infanzia di Fellini...

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    1. m'hai fatto tuffare nei ricordi di montagna, a Stadolina e a Ponte di legno

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  3. Davvero un nutrimento di felicità pura, per la crescita di una persona speciale.

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  4. ci pensavo stanotte mentre non dormivo che avevo voglia di leggere dell'Amanda piccina: siamo telepatiche.
    anch'io andavo in una casa in campagna, quella dei miei zii e dei suoi amici: mi ricordo grandi cori (bandiera rossa o bella ciao erano di gran moda, grandi risate e grandi pranzi o cene tutti insieme e anche noi tavolo dei grandi e tavolo dei piccini: sarà che siamo un po' cresciute topolino?
    comunque mi piace sempre leggere i tuoi ricordi, li trovo intimi e avvolgenti e li "conosco" perchè anche i miei hanno quel sapore.
    baci
    Sandra

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    1. amandapiccola bisogna trovarla tra le pieghe, riavvolgere il filo e lasciare che te la racconti :)

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  5. Che storia deliziosa! E la chiusa, la frase finale, è degna di Jane Austen!

    Mi hai fatto venire in mente le mie vacanze estive - molto più modeste, in una casa piuttosto scalcagnata, ma con gli stessi scricchiolii, gli stessi temporali estivi, lo stesso profumo la mattina...

    ps come si potrebbe tradurre la parola "boresso" in italiano? me lo sono chiesto spesso...

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    1. grazie Paolo, il boresso è come il freschin, non si traduce :)

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    2. Potrebbe derivare dalla parola spagnola "borracho", che significa ubriaco?
      E chissà se uno che non è veneto è mai riuscito a "imboressarsi"?

      ps sarei curioso di sapere che ne pensa Nicola Pezzoli di questo tuo post... sono quasi sicuro che gli piacerebbe davvero molto!

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    3. in effetti di solito a Nicola piacciono i miei amarcord :)

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