Alieni allo specchio7
Sonia Marialuce Possentini |
Ci sono due donne in me, ovvero, sono stata una donna ed ora, mio malgrado, sono un'altra donna e starvi a dire che quella che sono è migliore di quella che ero, non mi salva e soprattutto non salverà la fautrice del mio miglioramento e preferirei pagare il prezzo di rimanere quell'essere insulso che sono stata piuttosto di trovarmi qui, ora. Non so bene come sono diventata ciò che ero, mi guardavo allo specchio continuamente, vivevo per lo specchio. Madre natura mi ha fornita di una buona dotazione di base, poi ci ho messo del mio, perché il mio corpo era la mia arma per andare alla conquista del mondo. Bisogna investire in ciò in cui si crede. Palestra, estetista, la scelta degli abiti giusti, il trucco sempre curato, i tacchi da non meno di 10 cm. Frequentazioni all'altezza. Non sono passata per il bisturi solo perché ho paura del dolore, già, ho paura del dolore. Ho studiato da bella donna, ho studiato per farmi offrire da altri ciò che desideravo. Ho studiato per poter usare i soldi altrui, perché quei soldi fossero i miei, in fondo mica rubavo. Era uno scambio alla pari: io ci mettevo me stessa e gli uomini il potere del denaro, che c'era di male?
E poiché non sono una scema, ho scelto con cura, l'uomo giusto, il buon partito e me lo sono sposato. Entrambi abbiamo fatto ciò che ci si aspettava da due come noi: un buon lavoro ed una moglie che non lo facesse sfigurare per lui; un buon matrimonio e una figlia per garantire una discendenza al suocero patron di industria per me. Non è che mi sia mai sentita votata alla maternità, l'ho vissuta come un atto dovuto, le donne come me regalano eredi e qualcuno le aiuta a crescerli, non è in fondo un grande sforzo, ci sono le tate, le migliori scuole, un bel piano settimanale di impegni extrascolastici. E non mi dite che avrei dovuto cercare l'erede maschio; dopo un aborto al quarto mese di gravidanza, praticamente un parto, e la nascita di mia figlia, ho giurato che non mi sarei più sottoposta ad una simile tortura. Siamo o non siamo negli anni 2000, mio suocero avrebbe dovuto accontentarsi di una nipote femmina dal suo unico figlio. La bambina è da subito apparsa molto diversa da me, agli antipodi sia fisicamente che per carattere: piccola, scura, curiosa del mondo e delle persone, attenta, appena ha iniziato a chiacchierare non ha più smesso di domandare, di tutto a tutti, un maschiaccio nel vestire e negli atteggiamenti, non c'era verso di pettinarla, di sistemarla. Mio suocero si è esaltato per questa creatura così selvaggia, così poco inquadrabile, così istintiva e con una generosità che conquistava tutti. Tutti tranne me, notavo quel suo piccolo sguardo severo e critico che sembrava un pieno atto di accusa alla mia intera esistenza e non potevo esimermi dal conflitto, dai due anni in su è stata una guerra, con i maschi di famiglia schierati dalla parte del piccolo mostro ed io che mi sentivo privata del centro della scena che mi ero conquistata, la detestavo. Ero riuscita ad allontanare ogni donna cercasse di rubarmi il marito e avevo generato io stessa quell'essere che ne catturava ogni attenzione. Ora mia figlia ha otto anni, tre giorni fa suo padre ed io avremmo dovuto partire per una vacanza tutta nostra per il nostro decimo anniversario, mi aveva concesso, finalmente quindici giorni in un resort nell'Oceano Indiano, ho studiato questo viaggio nei minimi dettagli, doveva essere perfetto, noi due soli e credetemi, fosse stato per lui ci avrebbe portato anche lei. La sera alla bambina sale la febbre, io penso che sia un suo tentativo di non farci partire, l'indomani pomeriggio ci sarebbe stato il volo. Mia suocera, incredibilmente viene in mio soccorso "che sarà mai, malanni di stagione, partite come da programma, la bimba è qui con noi, domani contattiamo il pediatra", mio marito si convince e partiamo alla volta dell'aeroporto. Ma quando siamo quasi al check-in, ed il cellulare è ancora acceso, arriva la chiamata "stiamo correndo al Pronto Soccorso, la febbre è oltre i 40, la piccola a tratti sembra poco cosciente, non avremmo voluto disturbarvi". La odio, questa volta me la pagherà davvero. Rientriamo e corriamo al Pronto Soccorso. Leggiamo la preoccupazione sulle facce dei miei suoceri, ma io lo so, trattandosi della loro principessa, l'ansia avrà ingigantito i sintomi. Esce un medico che chiede di parlare con noi, e no, non sono buone le notizie, dice che c'è una grave infezione in atto, secondo le prime analisi. Hanno fatto colture sul sangue e sulle urine, una lastra del torace ed ora ci chiedono di firmare il consenso per una puntura lombare, la prepareranno per farle sentire meno dolore, dicono che uno di noi nell'attesa può entrare in area rossa, il medico guarda me, ma mio marito insiste per poter entrare. Quando esce sembra dieci anni più vecchio, dopo la rachicentesi le preoccupazioni dei medici si sono fatte certezze il liquido è torbido, sospettano una meningite, verrà iniziata una terapia antibiotica ad ampio spettro e verrà posta in isolamento in attesa delle conferme colturali, noi stessi e i medici che l'hanno seguita dovremo fare terapia di profilassi. Mio marito si offre di assisterla in isolamento, mi dice che nostra figlia passa dal torpore ad una veglia agitata, ieri ha chiesto di me, così ho dato il cambio a mio marito che sembrava non volerla mollare neanche un attimo. Sono entrata bardata col camice, i guanti e la mascherina, mi è sembrata infinitamente piccola in quel letto d'ospedale, dormiva un sonno strano. La guardavo e non sapevo proprio cosa fare, me ne stavo lì, rigida da qualche minuto, quando l'infermiera, entrata a controllare la flebo mi ha detto "le parli, le tenga la mano". Mi sono fatta forza e ho preso quella piccola mano, che si era fatta diafana, tra le mie, ma davvero non trovavo parole. Dopo poco si è mossa appena e con un filo di voce mi ha detto "Sono troppo piccola io". E' lì che si è aperta la voragine che ha inghiottito la donna che ero: mia figlia otto anni, per la quale da anni non provavo più tenerezza nè trasporto materno, in quel momento era giunta in solitudine alla consapevolezza della sua fine imminente.
Dov'ero io mentre lei si affacciava, sola, all'abisso?
Dov'ero io mentre lei si affacciava, sola, all'abisso?
Amanda, vuoi farci morire? io voglio il seguito di questo racconto e voglio anche il lieto fine perchè di tragedie ce ne sono troppe in giro.... almeno qui che si PUO' voglio il lieto fine!
RispondiEliminanon tutte le storie hanno un lieto fine Sandra
EliminaIo sono quel genere di donna che a leggere un racconto simile si strazia.
RispondiEliminaio pure, ma questa serie di racconti è così, cattiva
EliminaMamma mia, che male.
RispondiEliminaci ho girato intorno un bel pezzo al finale
Eliminasono rimasto imbalsamato...
RispondiElimina:(
EliminaBrrr... Non so se voglio il seguito, forse dice già tutto così.
RispondiEliminami sa che non è proprio previsto un seguito
EliminaCavolo Amanda, quando vuoi li sai proprio dare, i pugni nello stomaco.
RispondiEliminason cattiva
Eliminavai Amanda, adoro il tuo lato oscuro ....
RispondiElimina;-)
the dark side of Amanda :)
EliminaSono molto colpita da questo racconto, come se non conoscessi già la tua bravura. Ma non c'eri più tu dietro a queste parole, ho visto solo il personaggio narrante come se stessi ascoltando dalla sua viva voce.
RispondiEliminaE questo è essere ad alti livelli ! Non sei cattiva Amanda, persone così esistono davvero.....ahimè.
Brava ragazza, continua e vai oltre, dammi retta. <3
onorata
EliminaSplendida pagina, ai tuoi massimi livelli; concordo con Alle: l'intensità della vicenda sembra aver catturato e soggiogato chi la narra, che quasi accidentalmente ne è l'autrice...
RispondiEliminaE credo che non sia assolutamente importante il seguito.
infatti non c'è seguito, grazie
Eliminasenza parole.assolutamente soggiogata....
RispondiEliminaHo letto questo racconto mentre aspettavo che iniziasse il corso di inglese. Ne sono rimasta così colpita da esserne quasi risucchiata e sono entrata al corso in ritardo.
RispondiEliminaMamma mia Amanda, che botta.
Dimmi che è un racconto di pura fantasia, per favore!
solo la frase detta dalla bambina fu pronunciata, ahimè, da un mio piccolo paziente gravemente malato poche ore prima di finire di soffrire, sono passati circa 15 anni, ma non la dimentico
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