Alieni allo specchio 10
Michael Vincent Manalo |
Sì che si è persa, lo so che si è persa, me lo dicono spesso, troppo spesso, sento quando lo dicono, so cosa pensano, cosa pensano di me, insistono malignamente e non mi fanno dormire, e perdo la fame, le ore passano ma non posso uscire, perché se esco è un gioco al massacro.
Ma quando si è persa? E perché? Me lo domando sai? Senza posa me lo domando, e a volte mi sembra così chiaro, logico, una deduzione ne porta un'altra, si affollano nella mia mente velocissime.
Così veloci che ne esco spossata, esausta e un altro giorno se ne va senza essere uscita di casa.
E poi vi si legge in faccia: il disappunto di mia madre, il dolore di mio padre.
Lei così precisa, progettuale, propositiva, alternativa, dopo anni di preoccupazioni per la bambina sempre un po' malata che si è persa mentre a lei sembrava di avere tutto sotto controllo, ora è dura arrabbiata, irritata, scostante.
Lui che le leggeva le favole, che le insegnava, che la coinvolgeva nella sua vita, che seguiva le sue scoperte e i suoi successi con trepidazione che forse non si era immaginato padre, ma ci si era ritrovato e gli sembrava poi una bella dimensione, un sentimento così intimo e allo stesso tempo così totalizzante da lasciare spiazzati, ora ha gli occhi di un cocker triste e quando non lo ascolto si rode, perfino quando risulto esasperante ai miei stessi occhi.
Esco solo per andare a parlare, a raccontare della bambina persa, c'è una persona che mi ascolta, ascolta me ma vuole sapere di lei, ed io sembro non contare, d'altra parte è il suo mestiere, mica lo fa perché gli interesso io; non sto dicendo che faccia male il suo lavoro, anzi quella di prima non mi piaceva proprio, non volevo raccontare nulla a quella, né di me, né della bambina.
In fondo sono una nullità è comprensibile che tutti vogliano parlare solo della bambina, perché si è persa, soprattutto perché si è persa.
Ma io mi preferisco quando non prendo le pastiglie, sono più lucida, posso far correre i pensieri.
Le pastiglie le voleva la bambina si faceva venire sempre la febbre, era bello vederli scattare tutti sull'attenti, portarla dal dottore, farle fare gli esami, tutti in ansia, e quando i risultati erano negativi gioire per pochi giorni e poi ricadere nell'angoscia di non trovare spiegazioni.
Forse è lì che l'hanno persa, io lo capivo quello che la bambina voleva dire loro, perché loro no?
Allora però ancora nessuno parlava male di me, non mi si attribuivano colpe, anche quando fu chiaro che la bambina non soffriva nel corpo. Ridussero solo le loro aspettative. Anzi presero a domandarsi dove avessero sbagliato con lei.
Portarono me a parlare con quella che doveva essere esperta e quella mi chiese della scuola, di mia madre, di mio padre, degli amici e dei compagni ed io le dicevo "tutto bene" o non dicevo nulla che avrei dovuto raccontare ad una così?
La bambina si fece passare la febbre e per un po' mi lasciarono in pace. Solo misero sotto assedio la bambina, pensando che sarebbe stata bene, sarebbe stata meglio.
Poi fu nuovamente troppo e verso la fine del liceo cominciarono le voci, quelle cattive, quelle maligne, mi dicevano che ero stupida, che ero cattiva, che avevo eliminato la bambina, che non ci sapevo fare con il pianoforte, che non avrei passato quell'esame, che le mie amiche non mi volevano bene, che era meglio che stessi a casa, che mia madre amava la bambina che non c'era più, che non aveva senso che mi lavassi perché tanto non sarei uscita, che non aveva senso che uscissi perché avevo ucciso la bambina, e se anche dicevo che no, che io amavo quella bambina più di me stessa, perché era la gioia dei miei genitori, che l'avrei voluta viva per sempre, era un dato di fatto: occupavo la sua stanza, il suo letto, indossavo i vestiti che mia madre aveva acquistato per lei; lei che era brava a scuola, che frequentava con profitto il conservatorio, che dava tante soddisfazioni, mentre io, io ero un peso, io che sono quella che sono, quella che sente le voci, quella che entra e che esce da ospedali dove non ci sono cinture o lacci delle scarpe, o coltelli, dove devo prendere le medicine che a casa sputo perché era la bambina che anelava alle medicine per curare l'animo che scottava, io non sono che il fantasma della figlia che i miei avevano immaginato fin da quando mi concepirono per allegria.
i tuoi alieni mi lasciano sempre senza fiato.... anche questo
RispondiEliminanon so come devo interpretarlo, spero positivamente :)
EliminaE se ritornasse? Chissà mai che non ritorni.
RispondiEliminala bimba no, non può tornare, la giovane donna sofferente, lei sì mi auguro che trovi il modo di tornare
EliminaUna pagina importante, di una particolare densità drammatica dalle mille risonanze dolenti, e di un (presumibile) autobiografismo spietato, appena nascosto sotto il velo pudico del racconto.
RispondiEliminaDa meditare, da conservare.
Autobiografismo? Per mia fortuna Fanz non ho ancora mai dovuto frequentare una clinica psichiatrica come paziente
EliminaNon intendevo quello...
EliminaComunque, meglio così!
sti alieni quante cose che fanno... nei film di fantascioenza però !
RispondiEliminabenvenuto nonno enio :)
EliminaAccidenti Amanda, è inquietante leggere questo racconto dopo che, da qualche settimana, una "fantasma di una bambina" di mia conoscenza all'improvviso non c'è più e ha deciso di non tornare.
RispondiEliminaCi sono bambine che non hanno la capacità di crescere e bambine Peter Pan che non vogliono crescere. Le bambine che non sanno crescere spesso sono bambine molto brave a scuola con aspettative su se stesse,magari inconsciamente indotte dalla famiglia, troppo elevate che ad un certo punto non riescono più ad affrontare. Sono persone fragili che non hanno i mezzi per affrontare le sconfitte che la vita di tutti i giorni inevitabilmente ci infligge, così si avvitano su se stesse incapaci di guardare avanti, incapaci di vivere una vita "sociale"
RispondiEliminaÈ esattamente quello che penso, ci sono bambine incapaci di vivere. Grazie
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