Ginevra 2
... continua
Quando
i ragazzi arrivarono Ginevra raccontò del suo particolare incontro e
domandò loro se avessero mai incrociato l'anomalo lettore di economia e
finanze, ma nessuno di loro l'aveva mai incontrato. Lessero brani del
libro e la discussione si protrasse fino a sera tarda, spostandosi nella
cucina di Ginevra davanti ad un piatto di pasta ed ad un bicchiere di
rosso. Qualcuno ricordò come spesso nei romanzi della Tyler fosse
necessaria la figura di un estraneo al nucleo familiare protagonista a
riportare vitalità in assetti il cui fragile equilibrio si basava
unicamente su una meticolosa routine quotidiana al di fuori della quale i
rapporti interpersonali risultavano inconsistenti e Ginevra raccontò
loro che l'uomo della panchina aveva definito i personaggi della Tyler
come vincolati ed allo stesso tempo estranei ad una realtà con la quale non
sapevano interagire e tutti trovarono splendida l'analisi dell'uomo
della panchina.
Nei
giorni seguenti Ginevra era tornata spesso alla panchina con la
speranza di incontrare nuovamente quell'uomo, con il desiderio di
domandare, di capire, ma dell'uomo nessuna traccia.
Quando ormai si era rassegnata all'idea che quell'incontro fosse stato unico, l'uomo si materializzò nuovamente.
"Buongiorno"
lo salutò Ginevra con un sorriso. L'uomo pareva assorto, lo sguardo
rivolto ad un infinito molto lontano o troppo intimo, poi si voltò e
finalmente la vide e le rivolse un sorriso mesto.
Ginevra
non voleva apparire invadente, ma ugualmente non voleva mancare
l'occasione fornita dal nuovo incontro e così gli disse: "Ho pensato a
quel che avete detto su Anne Tyler e, sì, ne convengo" e di seguito
tendendogli la mano "Il mio nome è Ginevra" l'uomo la guardò con due
occhi bigi, ora più sornioni
che mesti e le disse:" Il mio è, o meglio è stato, e per voi torna ad
essere, Sergio, i nomi servono ad essere chiamati quindi il mio era da
tempo in pensione" e strinse la mano a Ginevra. Seguì un silenzio
imbarazzato reciproco, come se la semplice presentazione avesse svuotato
entrambi di ogni energia, per un po' sedettero imbarazzati, fingendosi
affaccendati nelle loro attività: Ginevra leggeva, Sergio riempiva con
scrittura elegante un "pizzino". Ogni tanto si scoprivano a spiarsi di
sottecchi e sorridevano. Poi Sergio si alzò e disse a Ginevra: "E' stato
un vero piacere ritrovarla Signora Ginevra, a presto" e Ginevra disse:
"il piacere è stato mio, Signor Sergio, le dirò che ci speravo, non
sparisca a lungo".
Quando
Sergio se ne fu andato Ginevra notò che il foglietto su cui Sergio
stava scrivendo era rimasto piegato sulla panchina e sopra c'era
scritto: per Ginevra.
Lo aprì e vi trovò questi versi:
Io fui. Ma quel che fui più non ricordo:
polvere a strati, veli mi camuffano
questi quaranta volti diseguali,
logorati da tempo e mareggiate.
Io sono. E quel che sono è così poco:
rana fuor dello stagno che saltò,
e nel salto, alto quanto più si può,
l'aria di un altro mondo la schiattò.
C'è da vedere, se c'è, quel che sarò:
un viso ricomposto innanzi fine,
un canto di batraci, pure roco,
una vita che scorre bene o male.
J.Saramago
Gli occhi di Ginevra si velarono di lacrime, rivedere Sergio era divenuta ora una priorità
continua.....
chissà che calligrafia elegante che ha Sergio.
RispondiEliminaanche secondo me :)
Eliminacerco di immaginarli in lingua originale questi versi.. andrò a cercarli..
RispondiEliminaPassado, presente, futuro
EliminaEu fui. Mas o que fui já me não lembra:
Mil camadas de pó disfarçam, véus,
Estes quarenta rostos desiguais.
Tão marcados de tempo e macaréus.
Eu sou. Mas o que sou tão pouco é:
Rã fugida do charco, que saltou,
E no salto que deu, quanto podia,
O ar dum outro mundo a rebentou.
Falta ver, se é que falta, o que serei:
Um rosto recomposto antes do fim,
Um canto de batráquio, mesmo rouco,
Uma vida que corra assim-assim.
José Saramago, in "Os Poemas Possíveis"
la traduzione è di Fernanda Toriello
da José Saramago
Le poesie
Einaudi
libro feticcio per me
Certo che Sergio comincia ad essere un bel tipo......
RispondiEliminavedrai
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