Le tentazioni di Antonio
Dopo settimane a cercare tra pezzi di prato, di bosco e di cielo che
sembravano tutti uguali anche l'ultimo tassello dei 5000 di cui si componeva il
puzzle stava andando al suo posto ed improvvisamente qualcosa colpì il suo
occhio, fu una sensazione impercettibile ma netta. Allora si concentrò ma non
comprese la causa della sua improvvisa allerta. Quando poi lo posò quell'ultimo
tassello e guardò soddisfatto l'immagine, vide, questa volta non si trattava
più di una sensazione, un'occhio femminile tra il fogliame che lo guardava
sorridendo. L'occhio sbatte la palpebra e sparì."Due birre, non reggo più
nemmeno due birre" si disse Antonio. Guardò l'orologio si era fatto tardi
così dopo una doccia tornò a dare un'ultima occhiata al puzzle prima di andare
a dormire e fu a quel punto che lei, la proprietaria dell'occhio, apparve ad
Antonio in tutta la sua bellezza. I capelli ricci e scuri le incorniciavano il
volto dagli zigomi pronunciati, l'incarnato era quello che si generava da amori
che vedevano tramonti ed albe opposti, il lungo collo poggiava su due spalle
scolpite che le donavano un portamento regale e pareva fluttuare nel suo
incedere e inequivocabilmente lo stava chiamando a gesti. Antonio, stupito, per
un attimo guardò dietro di sè pensando potesse esserci un'errore, poi le dita
di quella Venere uscirono dai rami, dalla vegetazione, dal puzzle e lo
sfiorarono e quelle dita affusolate si intracciarono alle sue ed Antonio si
trovò con lei tra la folta vegetazione attirato in un'abbraccio, gli occhi
annegati in quei profondi occhi bruni, le sue labbra a cercare quelle vellutate
e calde di lei, si lasciò cullare tra i suoi seni e poi si smarrì nel piacere di
entrambi. Giaceva tra le braccia di quella donna bellissima ora addormentata di
cui non conosceva neppure il nome quando improvvisamente sentì un pigolio
venire dal folto del bosco.
Dal fogliame, tra l'erba comparve una specie di pernice, sfoggiava un
tabarro rosso, sul capo indossava un imbuto rovesciato e calzava un paio di
pattini da ghiaccio che erano assolutamente inutili dato il prato inerbito,
questo era il motivo per cui pigolava risultandogli impossibile il volo ed
arduo zampettare. Nel becco
recava una pergamena che consegnò ad Antonio. Antonio srotolò la pergamena
sulla quale erano vergate queste parole: "benvenuto nel paradiso dei pezzi
perduti, per arrivarci bisogna aver completato un puzzle di almeno 5000 pezzi
senza averne perso neanche uno ed essere caduti in tentazione, può fermarsi
quanto vuole, l'uscita va trovata". La pernice dopo un goffo inchino sparì.
Antonio a questo punto cominciò a preoccuparsi, la dama senza nome non
accennava a svegliarsi, pareva caduta in un sonno profondissimo.Così si
incamminò ma non sapeva verso quale direzione puntare.Quando ormai era più che
certo di girare a vuoto, il tetto di rami si fece meno fitto ed in cielo
comparve un pesce volante sulla pinna del quale un omino ed una donnina
minuscoli venivano trasportati
e decise di seguirlo. Spuntò in una radura e la luce, divenuta accecante, gli
ferì gli occhi, sotto ai suoi piedi l'erba si era trasformata in sabbia ed il
suo passo si fece lento ed incerto perchè affondava. D'improvviso si addensarono
le nubi all'orizzonte ed il terreno cominciò a tremare, tra Antonio ed il sole
si frapposero delle strane creature: avevano zampe lunghissime e sottili,
sottili, il primo era un cavallo, gli altri elefanti. Dal
terzo elefante fu calata una scaletta di corda a pioli, scese una donna
giunonica discinta, morbida e provocante seguita da un paggio nano con un
turbante sul capo inclinato sulle 23. Il paggio porse ad Antonio un piccolo
scrigno, mentre la donna si accostava a lui con pose sempre più lascive,
Antonio aprì lo scrignò e ne uscì una musica celestiale con un coro polifonico
che cantava:
"vuoi uscir dal paradiso?
sei sicuro hai deciso?
se la strada vuoi trovare
dalle scale puoi passare"
Quando Antonio chiese al paggio spiegazioni quello lo guardò, si piegò in un
profondo inchino che gli fece rotolare il turbante e risalì per la scaletta a
pioli e, a mano a mano che saliva, i pioli sparivano da sotto i suoi piedi,
così nonostante Antonio cercasse di seguirlo per farsi dare ragguagli, non gli
fu possibile, la donna intanto era sparita.
Antonio ormai era sconfortato, aveva dovuto aspettare il calare del sole per
procedere tra le dune perchè la temperatura si era fatta insostenibile, aveva
poca dimestichezza ad orientarsi con le stelle e non sapeva come continuare il
cammino e fu a quel punto che, preceduta da tre putti alati armoniosamente
svolazzanti che aprivano il piccolo corteo, si presentò la dama bendata, era
florida, il fianco possente, indossava un paio di calzette sorrette da
reggicalze di raso blu, sul capo un cappello a falda larga, e null'altro che un
fiocco in vita, ondeggiava su un paio di scarpine dal tacco, leggiadra,
incurante della sabbia nel suo incedere, al guinzaglio un roseo porcello che ne
guidava il cammino.
Decise di seguirla e la matrona lo condusse alle porte di una città fortezza,
lì giunti la donna lo salutò con un cenno del capo e sparì nella notte, senza
mai aver proferito parola. Antonio entrò per le strade della città, la città
era silente, in un modo inquietante, vide un cancello aperto che
portava ad una scalinata, e ricordando la pergamena pensò potesse trattarsi
della via d'uscita; s'inerpicò su per la ripida scala, ma si rese conto che
quella non l'avrebbe portato da nessuna parte,
e più saliva, e voltava ora a destra ora a sinistra sui ballatoi di quella
strada per il nulla,
più l'angoscia lo ghermiva."Che tu sia un sogno, un incubo, un
incantesimo, una stregoneria, voglio che tu finisca subito!" si mise ad
urlare accasciato su uno scalino. A quel punto si aprì una porta sul
pianerottolo sotto di lui, Antonio scese e varcò la soglia, dalla porta
uscivano i suoni di un locale. Una piccola donna, non bella, ma elegantemente
vestita di nero gli domandò cosa stesse succedendo.
Antonio da principio era restio a raccontare quanto gli fosse successo, ma
poi la forza che usciva da quella piccola persona, il suo fascino lo convinsero
a raccontarle le sue disavventure e poi divenne un fiume in piena e mise in
quelle piccole mani la sua intera esistenza. "Troppi rimorsi Antonio nella
tua vita, troppi rimpianti" quella lo prese per mano e lo condusse in un
angolo del fumoso locale dove c'era un piano ed una piccola orchestra e iniziò
a cantare con una voce potente, arrotata che la fece apparire immensa.
Ora Antonio si era reso conto che la musica era
finita, solo in lui risuonava la voce potente della piccola signora in nero,
nel locale erano rimasti solo il barista, che asciugava lentamente i calici, ed
una donna seduta ad un tavolo verso la vetrina del locale, anche lei pareva
prigioniera dei suoi pensieri, parte del silenzio che la circondava, elegante,
il piccolo cappello a cloche sul capo, il cappotto bordato di pelliccia, la
tazza fumante tra le
mani.
Ed Antonio cominciò a pensare alle presenze
femminili della sua
esistenza, non aveva saputo coltivare l'amore, aveva molto amato ma spesso
era fuggito allo sfiorire della passione, aveva subito fascini fatti di un
alito di
vento, aveva abbandonato donne solide come querce per lo sgomento di finire
oppresso alla loro ombra, ma questo viaggio iniziato con una tentazione ora lo
stava facendo riflettere: qual era la rotta? Dov'era l'uscita?
Tornò nuovamente per le vie della città fortezza,
fuori dal locale improvvisamente la notte si era animata, attorno a lui gente
che parlava lingue diverse, incomprensibili, alcuni decisamente inquietanti
come quel tizio grosso, tutto muscoli, la mascella quadrata, che indossava una
maglia a righe su dei bicipiti spropositati, un ciuffo calato sulla fronte e
degli occhialini da saldatore.
C'erano grandi cartelli pubblicitari di prodotti a lui sconosciuti, c'erano
insegne luminose intermittenti che influenzavano il ritmo dei suoi passi e
quello dei suoi pensieri, vide un taxi che passava e lo fermò, il suo senso di
estraneità stava sopraffacendolo.
"Mi porti alla stazione"
Il viaggio in taxi era stato lungo, il quartiere
densamente popolato aveva lasciato il posto ad una anonima periferia,
Antonio si era assopito e poi si era destato a corsa finita, di fronte alla
stazione, che pareva proprio quella di una grande città e dopo aver pagato era
sceso alla ricerca di un cartellone o di una biglietteria che gli consentissero
finalmente di comprendere dove si trovasse. Entrò nell'enorme
sala d'attesa ma alle pareti non vide un solo tabellone indicante arrivi o
partenze, nessuna traccia di un orario, si avvicinò quindi ad un uomo ed una
donna, due viaggiatori,
l'uomo teneva tra le labbra un mozzicone di sigaro spento e si era liberato
delle pesanti calzature, in realtà parevano aver viaggiato nel tempo oltre che
nello spazio. "Scusate, sapete dirmi dove ci troviamo?" chiese
Antonio, quelli levarono il capo verso di lui contemporaneamente e quasi
simultaneamente gli sorrisero. "Vedi Etta, eccone un altro, arrivano qui a
notte fonda e non sanno neppure dove si trovano", la donna guardò Antonio
con senso di fraterna comprensione "Succede sa, più spesso di quanto uno
voglia ammettere con se stesso, un piccolo cedimento e si varca la soglia, poi
si fatica a trovare la scala per uscire, si perde l'orientamento come
niente qui". Antonio comprese allora che sapevano come lui fosse arrivato
fino a lì e si sedette con loro chiedendo lumi su come procedere nella ricerca
della scala. "Una stazione è piena di scale, mio caro, basta avere in
mente la meta ed agire di conseguenza". Antonio pensò che la sua meta era
la sua casa, era la sua vita, che la voleva ora, che non poteva rimanere in
quell'incubo neanche un minuto di più. Salutò la coppia e si diresse verso le
scale della stazione,ed iniziò a scendere, alla fine della scala, lungo i
binari deserti vide una ragazza che leggeva un libro
e le si avvicinò. "Scusa, aspetti un treno? Sono invadente se ti chiedo
dove sei diretta?" La ragazza alzò lo sguardo dal libro, Antonio lesse
stupore nel suo sguardo, poi una lacrima scese muta lungo il suo viso e si
infranse sulle pagine del libro. Antonio si accorse allora che il libro era
vergato a mano con un inchiostro azzurro da una bella scrittura femminile e che
la lacrima aveva chiazzato i versi di una preghiera.
"Scusa non volevo turbarti, semplicemente non so dove mi trovo,è troppo
lungo da spiegare, mi sono perso". La ragazza a quel punto levò la mano e
gli sfiorò un braccio.
Il silenzio si prolungava, come il tocco della
mano della ragazza. Poi improvvisamente con voce flebile e rotta dall'emozione
lei gli disse "Non so più da quanto tempo qualcuno non parla con me, non
so più da quanto tempo vengo qui aspettando treni che non arrivano e non
partono, per non impazzire scrivo versi di poeti che ho imparato a memoria su
questo taccuino, chi mi parla sentenzia, a nessuno importa nulla di me perciò
le tue
parole sono un'epifania, scusami". "Io sono Antonio, tu come ti
chiami?" chiese Antonio, sedendosi accanto a lei "e come sei arrivata
qui? "La ragazza si asciugò con la manica del giaccone il viso, chiuse il
taccuino e porgendogli la mano gli disse "Sono Marta, sono arrivata qui
dopo aver finito un puzzle
che mi serviva ad occupare serate tutte uguali di giorni tutti uguali, credevo che da
sola mi sarei bastata dopo aver aspettato per anni che l'amore bussasse alla
mia porta, ma quella sera ho finito il puzzle ed ho rincorso un sogno ed
ora eccomi qui, ho perso il conto dei giorni, prima è stato stupore, poi
rabbia, poi panico e poi mi sono rassegnata, ed ora sei arrivato tu ed almeno
qualcuno mi capisce". Antonio le chiese se anche a lei fosse stato detto
di cercare una scala per trovare l'uscita, Marta rispose invece che lei per
uscire avrebbe dovuto trovare il forno che cuoceva la ricetta
della passione. "Vorresti dire che dobbiamo già separarci?" chiese
Marta il volto nuovamente velato dalle lacrime? "Potremmo cercare almeno
insieme di capire dove ci troviamo, poi decideremo come uscire di qui ognuno
seguendo le proprie indicazioni" Si avviarono dunque lungo i binari ormai
illuminati dalla prima luce.
"Raccontami di te" disse Marta, "Credo di non aver mai parlato
tanto di me ad una donna come nelle ultime 24 ore" disse Antonio
sorridendo e le raccontò della piccola signora in nero, e poi di come era giunto
fino a lì e poi di sé ed ancora di sé fino alle sue ginocchia sbucciate, fino
ai giochi di strada, fino alle corse sulla bici, fino ai baci di sua madre,
fino a che non ci fu più Antonio da raccontare, perché il cammino era lungo e
vuoto e loro non avevano altro da fare che riempire i passi delle loro vite che
improvvisamente non erano che un ricordo.
S'era fatto pieno giorno, il sole cominciava a
scaldarli piacevolmente e seguendo i binari ora si trovarono in aperta
campagna, era un mattino che odorava di primavera, le foglie nuove degli alberi
scintillavano alla brezza tiepida ed il loro procedere si era fatto gradevole,
meno insidioso, per quel senso di condivisione che la lunga camminata ed il
loro raccontarsi avevano creato.
Spesso si trovavano a ridere l'uno alle battute
dell'altro e stavano perfino a tratti dimenticandosi dell'assurdità della loro
situazione. Fu allora che da lontano giunsero le note di una banda.
Antonio prese Marta per mano e le disse "vieni" e si misero a correre
verso la fonte di quei suoni, in lontananza scorsero allora il tendone di un
piccolo circo in allestimento, una cavallerizza si allenava all'aperto insieme
a dei giocolieri, sotto il tendone una donna dalle seriche chiome color ebano
provava il suo numero sul monociclo,
mentre sopra di lei volteggiava una trapezista
redarguita dal suo allenatore. "Non ho mai amato il circo, mi ha sempre
intristito" disse Antonio, "Io invece avrei voluto fare l'equilibrista,
ma soffro di vertigini" sorrise Marta, passarono tutta la giornata assieme
ai circensi, quando tutto fu pronto per lo spettacolo li salutarono, prima che
se ne andassero la cavallerizza disse loro " il filo che vi ha unito si
srotola, satolli nell'anima e nel corpo, troverete la salita, ma l'uscita sarà
gioiosa e la porta chiusa per sempre?" Marta ed Antonio si guardarono
e ripresero il cammino, ma non tornarono lungo i binario, si addentrarono
ancora di più nella campagna e poco prima dell'ora del tramonto giunsero in
riva ad un lago. Si sedettero vicini tra le canne, sulla riva. "Mi sembra
un viaggio lungo una vita questa nostra giornata" disse sottovoce
Marta", e Antonio "Qui ha senso misurare il tempo?Qui....Ma poi ci
importa ancora del mondo lì fuori?"
Ed i loro occhi, le loro mani,
la loro pelle, le loro bocche, le loro lingue ed i loro sessi nell'urgenza
forgiarono lettere, che si unirono in sillabe, che coniarono parole dei
vocabolari dell'amore e del piacere, che tesserono frasi con le quali si
inebriarono, delle quali si stordirono e che avvolsero i loro corpi stremati
come in un caldo bozzolo.
La luce del giorno andava spegnendosi e l'aria
iniziò a farsi pungente, si rimisero in movimento camminando vicini in cerca di
un riparo per la sera, le spalle quasi a sfiorarsi, ogni tanto scorgevano
qualcosa di piacevole, di unico, nel paesaggio e si cercavano complici con gli
occhi, sorridendosi quando si rendevano conto di essere stati attratti dalla
stessa cosa, solo qualche piccola frase appena sussurrata accompagnava i loro
passi. Scorsero la casa in riva al lago, la porta era aperta, entrarono,
chiedendo permesso, nessuno rispose, la brezza del crepuscolo smuoveva le tende
di pizzo
leggero, trovarono un tavolo apparecchiato per due ed un biglietto che
recava scritto Per Marta ed Antonio e diceva "Benvenuti,
servitevi di ciò che volete, sentitevi a casa". Antonio disse
"Fame?" Marta ridendo rispose "Un sacco, ma non contare su di
me, so fare solo poche cose, per lo più dolci", allora Antonio ridendo
disse"Chissà come mai ma ne avevo il vago sentore, ma non si preoccupi
Signora, c'è qui per lei chef Antonio , vieni" la prese per mano
e la trascinò in giro per la casa in cerca della cucina. Trovarono una cucina
con mobili di formica, un panciuto frigorifero pieno di ogni bendidio, come
pure la dispensa. Su di un piccolo tavolino c'era una vecchia radio panciuta ed
Antonio disse "Un po' di musica?" e poiché Marta gli sorrideva
l'accese e la musica riempì la stanza.
Finché Antonio tagliava verdure e metteva padelle sul fuoco, Marta versò da
bere del vino bianco che aveva trovato fresco nel frigo e si accorse che
c'erano gli ingredienti per fare una torta al cioccolato ed iniziarono a
parlare fitto fitto, lavorando con passione alla preparazione della cena,
quando Marta ultimò la glassa propose ad Antonio l'assaggio, lui si girò,
infilò il dito nella cioccolata e disegnò sopra il labbro di Marta un paio di
baffi, e poiché quella provava a scappare le afferrò i polsi e all'orecchio le
sussurrò, "da qui assaggia la glassa lo chef esperto" e la baciò
"Sai che non avrei mai detto ma le torte ti vengono bene?" disse poi
schernendola, lei lo picchiò con un guanto da forno. Cenarono chiacchierando
fitto, poi salirono al piano di sopra dove c'era una linda ed accogliente
camera da letto. Quella notte si amarono con la foga di un bisogno, poi con desiderio
di conoscenza. Antonio si addormentò. Al mattino svegliandosi non trovò
Marta accanto a sé, la chiamò, non ebbe risposta. Scese in cucina ma di lei non
c'era traccia, sul tavolo una pagina del suo taccuino, che fosse di Marta lo
rivelava l'inchiostro azzurro
"Caro, carissimo Antonio, ho
vissuto di più in un'unica giornata insieme a te che in tutta la mia vita prima
di cadere nel puzzle, ma ho il terrore di addormentarmi e scoprire che solo di
un sogno
si è trattato, preferisco trovare la mia uscita e continuare a poter immaginare
che è esistito un tempo, un luogo, in cui ho trovato ciò che desideravo da
sempre senza avere neppure la forza di mettermi a cercarlo.
Ti abbraccio con amore
Marta"
Uscì, la cercò in riva al lago
ma di lei nessuna traccia, così si inoltrò nel bosco il cui margine lambiva il
retro della casa ed iniziò gridare il suo nome, ed improvvisamente davanti a
lui sopra la cima degli alberi si materializzò una scala e lui comprese che il
suo viaggio era arrivato a termine, così salì la scala,
un'ultimo sguardo alle sue spalle nella remota speranza di scorgere nuovamente
Marta, conscio dell'inutilità del gesto, poi varcò una soglia.
Si trovò nel suo letto a casa, era sabato
mattina, il puzzle sul tavolo del salotto gli riportò alla mente la sua
avventura, dunque era un sogno, di cosa poteva trattarsi se non di un sogno, si
vestì e nell'indossare la giacca trovò nelle tasche un foglietto
sdrucito, lo aprì ed era inequivocabilmente la lettera di Marta vergata con
l'inchiostro azzurro. Restò a rigirarsela tra le mani a lungo, la lesse e
rilesse fino a consumarsi gli occhi ed alla fine uscì di casa.
Stava andando a
comprare un puzzle
Amanda!! Hai presente la strafamosa scena di Harry ti presento Sally? Voglio un po' di quella roba che hai preso tu! Fantastico!! Per ora sono arrivata a metà della storia e mi sono persa fra i video, tra il primo bellissimo che non conoscevo e poi il secondo di cui conoscevo la canzone ma non avevo mai visto il video delizioso, e poi sono arrivati i Talking Heads e allora non mi sono più tenuta, mi sto guardando il video di un concerto di un'ora e mezza. E intanto ho ancora un sacco della tua storia da gustare. Questa volta hai superato te stessa!
RispondiEliminagrazie ma è roba vecchia ripescata, l'avevo postato a puntate sul vecchio blog, felice che ti piaccia :)
EliminaHo passato gli anni dell'università a fare puzzle di migliaia di pezzi con i miei coinquilini...li avessi fatti da sola sarei finita anch'io in questo strano mondo!
RispondiEliminaCredo di non averti mai detto quanto adoro i tuoi link e quanto apprezzo il fatto che tu li metta :)
se n'è perso uno e mi spiace molto, riguardava la dama bendata avevo trovato allora un'illustrazione deliziosa ed ora non è più reperibile :(
Eliminail rumore dei pezzi persi per sempre.
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