ORTENSIA la vicemadre






Il destino di Ortensia, nelle mia famiglia, era quello di fare da vicemadre.
Ortensia in realtà era arrivata nella mia famiglia a cavallo tra gli anni 20 e 30, quando adolescente, aveva lasciato il lavoro “a servizio” presso una famiglia di Chioggia, intrapreso all’età di 13 anni, della quale parlava sempre con grande affetto e nostalgia ed era tornata a Padova, dopo che la sorella maggiore aveva stampato due figliole con due uomini diversi, non essendo sposata a nessuna dei due.
La cosa, estremamente imbarazzante per l’epoca, poneva due problemi sostanziali, partecipare al mantenimento delle due figliole, da parte degli altri fratelli, e rendere improbabile l’accasamento delle sorelle ancora nubili tra cui la nostra.
Ortensia venne assunta quindi come banconiera dai miei nonni che avevano un caffè con annessa stazione di posta dei cavalli e si trasferì a vivere da noi.
Ortensia era sempre sorridente ed aveva un volto antico, era una di quelle donne che a 20 anni ne dimostrano 40 ma poi a 40 si fermano lì e, mentre gli altri imbolsiscono, si surgelano e a 70 ne dimostrano sempre 50. Era alta, energica, asciutta e aveva due adorabili occhi da procione, sempre segnati da immancabili borse scure.
Dopo qualche tempo, quando mia madre e mia zia erano ragazzine, mia nonna Erminia decise di divenire l’inventrice della scarpa spuntata con plateau tacco 12, monolaterale. Le si era infatti sbriciolato un femore, senza alcuna causa apparente, e fin tanto che i medici, per circa tre anni, la lasciavano a letto ingessata sotto le bombe, nell’imbarazzo di decidere cosa avesse causato il fattaccio, il femore si aggiustava sì, ma come voleva lui, ed ad Ortensia non restava che assumere il suo primo ruolo di vicemadre/ sorella maggiore per mia madre e mia zia. Gli anni passavano ed i miei nonni si avviavano a metà degli anni 60 verso la cessione del caffè che, come l’araba fenice, era risorto dalle sue ceneri dopo essere stato distrutto dal bombardamenti, la stazione di posta naturalmente con la ricostruzione era sparita. Dai tanti anni passati dietro al bancone ad Ortensia era rimasta la passione per le bibite tagliate: cedrata e birra, spuma e birra che aveva preso da un frate che si fermava spesso al caffè di passaggio. Incuriosita dalla strana richiesta aveva provato ad assaggiare ed era convinta che non esistesse bevanda migliore.
Avevo 18 mesi quando i miei genitori vennero travolti a bordo della Prinz NSU (non mi chiedete se fosse verde) di mia zia, da un tizio che aveva saltato lo stop. Entrambi riportarono la frattura di un braccio ed occuparsi di una bambina piccola, così conciati, risultava impossibile.
Così armi e bagagli mia sorella ed io traslocammo quattro piano più sotto dai nonni ed Ortensia divenne la mia vicemadre.
Voi dovete sapere che già allora ero logorroica ed egocentrica, anche in piena notte mi svegliavo ed iniziavo a parlare per attirare l’attenzione. I miei videro subito un vantaggio nell’ora della disgrazia e riguadagnarono ore di sonno anelate da mesi.
La prima notte dai nonni mi svegliai come al solito, dormivo nella stessa stanza di Ortensia, lei si alzò e con voce ferma disse:” ciò picoa ara che doman gò da lavorare mi” ( guarda piccola che domani devo lavorare, io). Non so cosa lessi in quel tono di voce, nei suoi occhi da procione, sta di fatto che non mi svegliai più di notte, o, se lo feci, rimasi nel più perfetto silenzio.
Da donna pragmatica la sua regolare educativa fondamentale era: “chi vuol comandare deve prima saper fare” e secondo tale criterio fui iniziata a tutti i lavori di casa e alle piccole norme di manutenzione impiantistica, eccetto quelli elettrici, forse la spaventavano e temeva per la mia incolumità. Un giorno, convalescente da una malattia dell’infanzia, o da una delle mie numerose otiti, allora la convalescenza durava quasi come la malattia, guardavo sconsolata gli altri bimbi giocare in cortile, ripetendo come una litania “beati quelli che sono giù beati loro” ad un certo punto sull’orlo di una crisi di nervi Ortensia mi piazzò fuori della porta di casa e disse a mia nonna, se è sana a sufficienza per sfinire quattro adulti, lo è anche per scendere a giocare.
Ho trascorso molte ore d’inverno nel mio mondo parallelo sotto il tavolo della sala da pranzo, che era la mia casa, ad ascoltare le infinite partite di chiacchiere tra mia nonna, Ortensia e a zia Linda una che stirava, una che rammendava, una che sgranava i piselli.
Quando avevo 8 anni Ortensia era già in età da pensione e la sorella, che già in principio le aveva condizionato l’esistenza, decise che non avrebbe passato con noi la sua vecchiaia, era giunto il momento che si occupasse dell’anziana madre. Ma lei inforcava il suo bolide e pedalando energicamente veniva qualche pomeriggio, nostalgica delle vecchie chiacchierate con mia nonna e mia zia. Quando mio nonno e poi mia nonna si avviarono c’era anche lei ad asciugare le mie lacrime. A 70 anni le rubarono la bicicletta sotto casa nostra e non avemmo cuore di lasciarla senza, anche se con l’intensificarsi del traffico ci preoccupavano quelle sue biciclettate. Quello che non poterono i ladri, potè l’artrite e verso gli 80 dovette smontare dalla sella. Il giorno della mia laurea non riuscì ad esserci di persona ma mi fece recapitare una spilla con una A, ogni tanto quando la indosso mi punge e mi così posso sentire nuovamente la sua voce che mi rimette in riga

Commenti

  1. Il caffé con annessa stazione di posta per i cavalli é di una bellezza straordinaria!

    Ortensia rimane la mia preferita, per gli occhi teneri, per il nome che porta, per le biciclettate in tarda etá e perché essere vicemadre é un compito difficile, non é per tutti saper amare i figli non tuoi come se lo fossero.

    RispondiElimina
  2. Ortensia rimane la mia preferita perchè ci siamo amate molto e mi manca immensamente

    RispondiElimina
  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  4. leggo sempre volentieri i tuoi ricordi di famiglia. il Novecento. il bianco e nero.
    i personaggi romanzeschi dai nomi che non si usano più.
    per non dire che anch’io ho avuto una vicemadre e un “nonno Valentino”
    tondo e buono

    RispondiElimina
    Risposte
    1. vedi che coincidenze, i nonni Valentino sono una garanzia, le vicemadri delle fondamenta, ci tengono in piedi anche a distanza di anni

      Elimina

Posta un commento

Post più popolari