Incipit: Quando l'imperatore era un dio






Il cartello era apparso durante la notte. Sui pannelli per le affissioni, sugli alberi e sullo schienale delle panchine alle fermate dell'autobus. Era appeso nella vetrina di Woolworth's. Di fianco all'ingresso della YMCA. Affisso al portone del tribunale  municipale, e inchiodato ad altezza d'occhio a ogni palo del telefono lungo University Avenue. La donna stava restituendo un libro alla biblioteca quando vide il cartello nella vetrina dell'ufficio postale. Era una giornata di sole a Berkley, nella primavera del 1942, e lei aveva gli occhiali nuovi e ci vedeva bene per le prima volta da settimane. Non doveva più socchiudere gli occhi, eppure li socchiuse ugualmente, per abitudine. Lesse il cartello da cima a fondo e poi, sempre con gli occhi socchiusi, tirò fuori una penna e lo rilesse di nuovo. Era scritto a caratteri piccoli e scuri. In certi punti minuscoli. La donna annotò alcune parole sul retro di una ricevuta bancaria, poi si voltò, tornò a casa e cominciò a preparare i bagagli.


Julie Otsuka. Quando l'imperatore era un dio. Bollati Boringhieri. Traduzione Silvia Pareschi


Questo romanzo ha preceduto Venivamo tutte per mare e in realtà inizia dove Venivamo tutte per mare finisce. In quella primavera del 42 quando la comunità nipponica americana dopo l'attacco di Pearl Harbor fu deportata in massa in campi di internamento. Questi cittadini americani, alcuni dei quali non avevano mai visto il Giappone, portavano stampati nei loro occhi a mandorla, nel loro incarnato, nel loro DNA tutte le caratteristiche del NEMICO. Così fu sottratto loro tutto: lavoro, casa, amicizie, rispetto, dignità, libertà. Julie Otsuka riesce ancora una volta con il suo stile scarno ma evocativo a guidarci per mano in quel dolore. Ci racconta la storia di una famiglia: un padre, una madre, una figlia undicenne ed un bimbo. Volutamente in un romanzo in cui anche l'ultimo dei vicini ha un nome ed un cognome, loro, i protagonisti, sono solo un padre, una madre, una figlia ed un figlio perchè la loro è La Storia, quella Storia, così privata e così universale ad un sol tempo e quando alla fine il padre, tornato in seno alla famiglia, racconta del suo piegarsi per non spezzarsi durante la prigionia c'è già in quella sua confessione privata tutta la potenza corale tragica che poi si compirà nel secondo romanzo della Otsuka. Non perdetelo

Commenti

  1. ultimamente non riesco a leggere molto, mi distraggo facilmente con altre cose, lo so che non va bene.... bisogna mi rimetta in moto!
    baci
    Sandra

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    1. ho avuto un periodo così che è finito da pochissimi giorni... ora recupero :)

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  2. Conosco questa autrice, perché tempo fa lessi “venivamo tutte per mare” e confermo la tua ottima opinione sul suo stile narrativo e soprattutto sulla capacità di raccontare con grande forza evocativa momenti bui della storia del novecento.
    Il libro che tu suggerisci non lo conoscevo, ma il tema mi sembra lo stesso del libro “IL GUSTO PROIBITO DELLO ZENZERO”, di Ford (magari nei prossimi giorni scrivo due righe su questo bellissimo libro). Un frammento di storia che purtroppo quasi nessuno conosce: i campi di internamento americani in cui venivano deportati i giapponesi durante la guerra, la difficile convivenza tra diverse culture e diverse generazioni, le influenze sulle relazioni quotidiane di alleanze politiche e militari firmate a migliaia di chilometri di distanza…

    Grazie mille. Appunto senz’altro il titolo.
    Buona settimana a tutti!

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    1. c'era anche "la neve cade sui cedri" sullo stesso argomento

      Sai Claudia abbiamo una fortuna la traduttrice della Otsuka frequenta il nostro blog.... mica cotiche ;)

      buona settimana anche a te

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    2. Stai scherzando????? Beh, allora ho il piacere di farle i complimenti, visto che tanto della bellezza di un romanzo dipende dalla traduzione... Ma chi è? Sputa il rospo!

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    3. Silvia Pareschi. Vedi la cocorita a testa in giù tra i lettori fissi? Lei!

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  3. Finalmente!
    Associo Silvia al libro!
    Grazie Amanda e grazie Silvia, è un onore averti qui.
    Non conoscevo i campi di internamento americani per i giapponesi, quanti buchi da riempire per formarsi una coscienza civica ed una conseguente obiettività storica.


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  4. Questo libro è già in pole position per la lettura. "Venivamo tutte per mare" mi è piaciuto moltissimo, condivido in pieno le ottime impressioni di chi l'ha letto sia verso lo stile narrativo che per l'evocazione di un pezzo di storia dell'umanità ai più sconosciuta. E naturalmente cosa assai insolita e piacevolissima è poter ringraziare di persona
    la valente traduttrice. Un insieme di rare preziosità :)

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  5. Eccomi! La cocorita a testa in giù! Grazie Amanda della bella recensione, e grazie a tutte dell'apprezzamento. Come non mi stanco mai di ripetere, ho amato moltissimo entrambi questi libri, che sono scritti meravigliosamente e raccontano una storia che andava assolutamente raccontata. In effetti me ne sono appassionata tanto che ho appena scritto un articolo per Nazione Indiana in cui ripercorro la storia delle deportazioni giapponesi affiancandola a brani del libro (e naturalmente ho inserito l'incipit che hai scelto anche tu, che è davvero potente). Dovrebbe uscire a giorni, ovviamente sarai informata :-)

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